I dati ricavati da una nuova ricerca, recentemente pubblicata sulla rivista specializzata Clinical Endocrinology, sembrano dimostrare che l'impiego di mifepristone nel trattamento della sindrome di Cushing (CS) comporti un miglioramento clinico globale dei pazienti affetti dalla malattia.
La squadra di ricercatori, coordinata da Laurence Katznelson della Stanford University (California), ha effettuato un'analisi degli obiettivi secondari di un precedente studio multicentrico in aperto, il cui buon esito ha fatto sì che, nel febbraio dello scorso anno, il mifepristone ricevesse, da parte della FDA americana, l'approvazione per il trattamento dell’iperglicemia associata a CS endogena.
La sindrome di Cushing include un gruppo di disturbi ormonali da elevata e prolungata esposizione ai glucocorticoidi, in particolar modo al cortisolo, e può essere endogena o esogena. Alcuni sintomi tipici della malattia sono obesità facciale e del tronco, segni di ipercatabolismo e, nei bambini, aumento del peso con ridotta capacità di crescita. La terapia medica è di solito rivolta a contrastare la sovrapproduzione di cortisolo, che spesso permane nei pazienti anche dopo l'asportazione chirurgica della fonte tumorale dell’eccesso ormonale.
Il mifepristone, denominato anche RU-486, è un farmaco che impedisce ai glucocorticoidi di legarsi ai loro recettori, riducendo così gli effetti dannosi dovuti all'accumulo di cortisolo, come l’iperglicemia. Da notare che quest’effetto è del tutto distinto da quello di blocco del recettore del progesterone, che è invece responsabile delle proprietà abortive per cui il farmaco viene solitamente impiegato.
Nello studio sono stati inclusi 46 pazienti affetti da CS, 25 dei quali manifestavano un diabete di tipo 2 o un’alterata glicemia a digiuno, 21 erano ipertesi e 19 presentavano entrambi i disturbi. I soggetti, con un'età media di 45 anni e costituiti soprattutto da femmine, sono stati sottoposti a trattamento mediante mifepristone per un periodo di 24 settimane. Al termine della terapia, l'88% dei pazienti ha mostrato miglioramenti del punteggio relativo alla valutazione clinica globale (GCA, Global Clinical Assessment), un indice cumulativo basato sull'analisi di diverse condizioni, quali la glicemia, il profilo lipidico, la pressione arteriosa, l'aspetto, la forza, i sintomi psichiatrici e la generale qualità della vita del paziente. Le manifestazioni specifiche della malattia che hanno mostrato gli effetti più marcati sul punteggio della GCA sono risultate essere la pressione diastolica, il peso, il valore della glicemia rilevato 2 ore dopo un'assunzione orale di glucosio e il cosiddetto aspetto fisico cushingoide.
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