Rachitismo ipofosfatemico: news su diagnosi, terapie, sperimentazioni e qualità della vita
I rachitismi ipofosfatemici, contraddistinti dalla presenza di ridotti livelli plasmatici di fosforo, rappresentano le forme più frequenti di rachitismo genetico. Si tratta di patologie rare e severe, in particolare per quanto riguarda la prognosi staturale, che richiedono una complessa gestione multidisciplinare coordinata dal pediatra. Le manifestazioni principali del rachitismo ipofosfatemico comprendono alterazioni scheletriche, deformità a carico degli arti inferiori, dolori ossei e tendinei, ritardo nella crescita e ascessi dentali.
Il codice di esenzione del rachitismo ipofosfatemico vitamina D resistente è RC0170. Inoltre, il codice di esenzione dellasindrome di Dent (una forma di rachitismo ipofosfatemico) è RJG010 (afferisce al gruppo “Tubulopatie primitive”), mentre il codice del rachitismo vitamina D dipendente di tipo I è RCG094 (afferisce al gruppo “Difetti congeniti del metabolismo e del trasporto della vitamina D”).
La sezione Rachitismo Ipofosfatemico è realizzata grazie al contributo non condizionante di Kyowa Kirin.
Il rachitismo è una patologia caratterizzata da una ridotta mineralizzazione del tessuto osseo in accrescimento, con conseguente accumulo di matrice ossea non mineralizzata, detta tessuto osteoide. È una condizione tipica dell’età evolutiva, in quanto si presenta prima della saldatura delle epifisi delle ossa lunghe e colpisce soprattutto le ossa a più rapido accrescimento, come il cranio, le coste, i polsi, le ginocchia e le caviglie. Il rachitismo carenziale, dovuto a un deficit di vitamina D, rappresenta la causa più frequente di rachitismo; tuttavia, esistono forme più rare trasmesse geneticamente, che negli ultimi anni sono state meglio caratterizzate: i rachitismi ipofosfatemici.
Il fattore di crescita fibroblastico 23 (fibroblast growth factor 23, FGF23) è una proteina che svolge un ruolo centrale nella patogenesi dei rachitismi ipofosfatemici: livelli elevati di FGF23 determinano infatti l’ipofosfatemia che porta all’instaurarsi delle lesioni rachitiche. Queste patologie possono manifestarsi in varie forme: il rachitismo ipofosfatemico legato all'X, dovuto a mutazione inattivante del gene PHEX (la più frequente causa di rachitismo genetico, con un’incidenza di 1 caso su 20.000), la forma autosomica dominante dovuta a mutazione attivante del gene FGF23, e le forme autosomiche recessive (tipo 1 e tipo 2) dovute rispettivamente a mutazione dei geni DMP1 e ENPP1. Esiste inoltre una forma di rachitismo ipofosfatemico ereditario con ipercalciuria, un disordine autosomico recessivo caratterizzato da una mutazione del gene SLC34A3 in cui la fosfaturia consegue a un difetto primitivo renale, per cui i livelli di FGF23 sono ridotti o ai limiti bassi della norma.
I primi segni e sintomi solitamente iniziano a comparire durante il primo o il secondo anno di vita: tipiche sono le alterazioni scheletriche caratterizzate da ossa deboli, sottili e incurvate (rachitismo). Non rare anche le fratture e un anomalo allungamento osseo a livello dell'inserzione muscolare; possono inoltre essere presenti crampi muscolari, andatura dondolante associata ad anomalie dell'articolazione dell'anca, dolore alle ginocchia, ginocchia valghe o vare, sviluppo ridotto (soprattutto delle gambe) e sviluppo anomalo del cranio o delle coste (pectus excavatum). Frequenti sono anche le anomalie dentali quali eruzione tardiva dei denti, anomalie dello smalto e tendenza allo sviluppo di ascessi spontanei: sono perciò molto importanti periodici controlli odontostomatologici. L'aspettativa di vita dei pazienti è normale. Nell'adulto, il rachitismo ipofosfatemico evolve in osteomalacia, una grave patologia che comporta una riduzione della densità ossea, con conseguenti fragilità e deformità scheletriche. I pazienti sono quindi esposti al rischio di fratture e a processi degenerativi a carico delle articolazioni.
La diagnosi del rachitismo ipofosfatemico viene posta sulla base delle indagini effettuate nel sangue (ipofosfatemia, elevata fosfatasi alcalina, bassi o normali livelli sierici di vitamina D, normali livelli di paratormone) e nelle urine (iperfosfaturia), oltre che sulla base dei referti radiografici. Le indagini radiologiche, infatti, sono in grado di evidenziare un'insufficiente mineralizzazione ossea a livello della cartilagine dell'epifisi (estremità di un osso lungo interamente cartilaginea), di accrescimento e ossea.
Il trattamento consiste nell'assunzione per via orale di sali di fosfato inorganico e metaboliti della vitamina D, di solito sotto forma di calcitriolo, fino al completamento della fase di crescita. I pazienti devono essere attentamente monitorati durante il trattamento per prevenire l'ipercalciuria e la nefrocalcinosi, possibili complicanze secondarie alla terapia. Per il rachitismo ipofosfatemico legato all'X è stato approvato, sia in Europa che negli Stati Uniti, l'anticorpo monoclonale burosumab, il primo farmaco che agisce sulla causa della malattia, affrontando l'attività in eccesso di FGF23. In caso di crescita ossea anomala, invece, il trattamento è di tipo chirurgico.
Consulta il nostro servizio L'ESPERTO RISPONDE: clicca QUI per accedere alla sezione dedicata al rachitismo ipofosfatemico.
In Italia, per i pazienti affetti da rachitismo ipofosfatemico sono attive le associazioni AIFOSF (Associazione Italiana dei Pazienti con Disordini Rari del Metabolismo del Fosfato) e AISMME (Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie).
Fonti principali: - Carpenter TO et al. "A clinician's guide to X‐linked hypophosphatemia" Journal of Bone and Mineral Research (2011) - Vierucci F, Saggese G, Simi P "I rachitismi ipofosfatemici" Prospettive in Pediatria (2012)
Il Dott. Stefano Mora (Milano): “Distinguere tra le varie forme di rachitismo ipofosfatemico è molto complesso: a fare la differenza è l’analisi molecolare”
In letteratura la fragilità dell’osso è una delle più chiare manifestazioni di malattia ed è sempre accompagnata da un’aura di debolezza e di caducità. Ma le basi fisiologiche di questo sintomo - spesso causa di fratture e fonte di dolore - risalgono a diverse condizioni: tra le principali figurano i rachitismi ipofosfatemici. A questo gruppo di patologie rare appartiene anche il rachitismo ipofosfatemico autosomico recessivo (ARHR), contraddistinto da un difetto a livello del trasporto del fosfato e da un alterato metabolismo della vitamina D, l’ormone chiave nel processo di mineralizzazione delle ossa: ciò significa che i pazienti presentano gravi alterazioni scheletriche, con ossa poco calcificate, e un notevole ritardo di crescita.
Il trattamento prolungato con il farmaco ha dimostrato di migliorare significativamente dolore, rigidità, affaticamento, funzionalità fisica e mobilità
Milano – L’azienda Kyowa Kirin ha annunciato la pubblicazione di nuovi dati che evidenziano i benefici sostenuti del trattamento con burosumab negli adulti con ipofosfatemia legata all’X (XLH), una rara malattia metabolica delle ossa. I dati mostrano che gli adulti con XLH sperimentano un dolore importante, rigidità, affaticamento e compromissione delle funzioni fisiche e deambulatorie: ora, in uno studio clinico di Fase III, il trattamento con burosumab è stato associato, dopo 96 settimane, a un miglioramento significativo della sintomatologia rispetto al basale.
L’associazione AISMME: “Un’occasione per accendere i riflettori su questa malattia rara fortemente invalidante”
Si stima che colpisca un nuovo nato ogni 60mila e in Italia si contano circa 500 pazienti. Ma sono numeri in difetto, dal momento che arrivare ad una diagnosi è molto complicato e spesso ci vogliono anni. È l’ipofosfatemia legata all’X (XLH), una malattia metabolica rara dell’osso, una forma di rachitismo ereditario con insorgenza pediatrica, che produce lesioni scheletriche, anomalie a carico delle ossa, della muscolatura e delle articolazioni a causa dell’eccessiva perdita del fosforo. Chi ne è affetto soffre di forti dolori, ha difficoltà nel movimento e deve ricorrere molto spesso a interventi chirurgici. La diagnosi spesso è tardiva, perché è di difficile identificazione. E spesso è troppo tardi per bloccarne il terribile decorso, che significa un progressivo peggioramento della sintomatologia, dolori muscolari e ossei al limite della sopportazione, continue operazioni chirurgiche agli arti, ai denti, con un grave decadimento delle condizioni fisiche e mentali. Sabato 23 ottobre 2021 si celebra in tutto il mondo la Giornata della XLH, un momento per accendere i riflettori su questa patologia e ricordare le molte criticità cui vanno incontro i pazienti.
Nasce la Guida dei centri di riferimento italiani per la diagnosi e il trattamento della patologia, realizzata da OMaR con il contributo non condizionante di Kyowa Kirin
Si svolge oggi, 23 ottobre, la Giornata Mondiale dedicata all’ipofosfatemia legata all'X (XLH), una rara malattia ereditaria dovuta a mutazioni nel gene PHEX che causa significative deformità scheletriche fin dalla giovane età, provocando dolori cronici e disabilità di diverso grado che possono richiedere la necessità di ripetuti interventi chirurgici correttivi. I sintomi della patologia comprendono ossa deboli, sottili e incurvate (rachitismo), anomalie e dolori articolari, deformità agli arti inferiori (ginocchia valghe o vare), bassa statura e, spesso, anche problemi odontoiatrici. In Italia ha un’incidenza stimata di 1 caso ogni 20.000 abitanti. Cosa vuol dire vivere con la XLH oggi? Quali sono i bisogni ancora insoddisfatti dei pazienti?
Al Congresso Nazionale 2021 della SIFO si è parlato anche di “approccio integrato”, una modalità di successo nella gestione della patologia
Roma – Vengono abbreviati in PDTA, ma il nome per esteso è “Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale”: quel binario lungo il quale può procedere la vita di una persona affetta da una specifica patologia nella sicurezza di una presa in carico completa. Dalla diagnosi alla corretta terapia, dal monitoraggio degli outcomes fino all’organizzazione dell’assistenza nel proprio territorio e nel suo ambiente di vita. I PTDA, importanti strumenti di amministrazione sanitaria, assumono un valore anche più rilevante nel contesto delle malattie rare, più complesse e meno note e quindi più bisognose di percorsi chiari. Per il rachitismo ipofosfatemico, una malattia rara che solo di recente ha visto arrivare una terapia specifica, questi PDTA stanno nascendo ora in diverse regioni – Toscana e Campania, dove sono già in fase di elaborazione, e prossimamente anche in Puglia e Sicilia – cogliendo alcuni suggerimenti che arrivano dal modello ideato da OSSFOR-Osservatorio Farmaci Orfani, il cui obiettivo è quello di creare uno “standard” in tutti le regioni italiane per il processo di presa in carico dei pazienti. Di questo, e in modo particolare dell’esperienza di lavoro che si sta facendo in Toscana e Campania, si è parlato oggi al XLII Congresso Nazionale della SIFO, nel corso di una sessione realizzata grazie al contributo non condizionante di Kyowa Kirin.
Attraverso tre generazioni, i membri di questo nucleo familiare hanno vissuto sulla propria pelle i notevoli progressi raggiunti nel trattamento della patologia
Per comprendere al meglio una malattia genetica ereditaria occorrerebbe seguirne l’evoluzione negli anni, non solamente nella dimensione dell’individuo che ne è affetto ma anche in quella più estesa dei suoi figli e poi nipoti, fino a ricostruire un albero genealogico che mostri come il gene della malattia sia capace di ‘passare’ da una generazione all’altra. Una filosofia che in certi casi, come quello di una famiglia del brindisino affetta da ipofosfatemia legata all’X (XLH), può fornire molte ed importanti informazioni sulla natura della malattia e sull’evoluzione dei trattamenti.
Il dr. Giampiero Baroncelli (Pisa): “L'approvazione del farmaco burosumab e la sua somministrazione a domicilio hanno migliorato nettamente la vita dei pazienti”
Pisa – Malformazioni agli arti inferiori, dolori osteoarticolari, bassa statura, problemi dentari e numerosi interventi chirurgici ortopedici: è ciò che comporta una rara forma genetica di rachitismo, l’ipofosfatemia legata all'X (XLH). Uno dei principali centri di riferimento italiani si trova a Pisa, dove è in cura il maggior numero di pazienti affetti da questa patologia: circa cinquanta, tra adulti e bambini, provenienti anche da altre Regioni. Fra loro, come specifica il dr. Giampiero Baroncelli, dell'Unità Operativa di Pediatria dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, una ventina ricevono il trattamento convenzionale, mentre nove, attualmente, sono in terapia con un farmaco innovativo chiamato burosumab.
Seguici sui Social