Il prof. Roberto De Giorgio: “Insieme all’Università di Bologna, e con il supporto di Fondazione Telethon, stiamo cercando di approfondire le cause molecolari della malattia”
La pseudo-ostruzione intestinale cronica, nota anche con l’acronimo CIPO (Chronic Intestinal Pseudo-Obstruction), è una rara e invalidante patologia della motilità gastrointestinale, ed è caratterizzata da episodi ricorrenti di subocclusione intestinale, del tutto simili a un'ostruzione meccanica, in assenza di disturbi organici o di blocchi fisici rilevabili. “È una malattia gravissima, complessa e di difficile gestione, che mette a dura prova i pazienti”, spiega il professor Roberto De Giorgio, Ordinario di Medicina Interna e Gastroenterologia presso il Dipartimento di Medicina Traslazionale dell’Università di Ferrara e Direttore del Programma di Gastroenterologia presso l’Arcispedale S. Anna.
Al momento non esistono terapie in grado di ripristinare la fisiologica motilità intestinale. “La mancanza di trattamenti risolutivi per la CIPO è dovuta, almeno in parte, al fatto che non abbiamo ancora compreso tutti i meccanismi eziopatogenetici della malattia”, afferma il professore. “Negli ultimi anni, all’Università di Ferrara, in stretta collaborazione con la Prof.ssa Elena Bonora, del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche (DIMEC) dell’Universitaria di Bologna, siamo riusciti a identificare mutazioni a carico di alcuni geni coinvolti nello sviluppo della CIPO, tra cui il RAD21, probabilmente responsabile di una forma neuropatica della malattia. Lo studio di modelli animali geneticamente modificati, come quello che stiamo conducendo su un modello murino con mutazione in RAD21, è fondamentale. Solo ricreando condizioni simili alla CIPO umana possiamo comprendere i processi all’origine della malattia e identificare nuovi marcatori prognostici, sulla base dei quali effettuare appropriate scelte cliniche e sviluppare percorsi terapeutici efficaci”.
LA PATOLOGIA
“Mi occupo di CIPO da almeno trent’anni”, racconta il professor De Giorgio. “Dal 1989 al 1993 ho lavorato presso il CURE/Digestive Diseases Center dell’Università di UCLA (Los Angeles, California), proprio per studiare la neuro-gastroenterologia e i meccanismi che regolano la motilità esofago-gastro-intestinale. Alla luce dei miei studi e dell’esperienza maturata sul campo, posso affermare, con relativa certezza, che la CIPO rappresenta il fenotipo clinico più grave fra tutte le condizioni caratterizzate da dismotilità intestinale”. La malattia, infatti, è contraddistinta da una disfunzione motoria del tubo digerente così severa da simulare una vera e propria occlusione: l’intestino si blocca come se ci fosse un corpo estraneo, ma in assenza di un’ostruzione meccanica vera e propria (come un fecaloma o un tumore). “Il problema è funzionale e risiede nella peristalsi, la famosa ‘spinta’ dell’intestino, che nel caso della CIPO può essere deficitaria o completamente assente”.
Le persone affette da questa patologia presentano molto spesso sintomi molto gravi e invalidanti: dolori addominali che a volte non rispondono nemmeno agli oppiacei, vomito, diarrea o stipsi intrattabile, malassorbimento e perdita di peso (nel bambino ritardo della crescita), tanto che si rende spesso necessaria l’alimentazione per via parenterale. “I dolori lancinanti lamentati da questi pazienti sono una sfida per i clinici”, sottolinea De Giorgio. “A volte assistiamo a episodi di dolore estremamente intensi senza riuscire a stabilirne esattamente la causa. Sicuramente la distensione delle anse intestinali gioca un ruolo centrale, così come la conseguente iperstimolazione dei nocicettori viscerali, ma anche altri fattori (ad esempio alcune alterazioni funzionali e strutturali dei canali del calcio) possono incidere nello sviluppo della sintomatologia dolorosa”.
Alla base della disfunzione del transito intestinale che caratterizza la CIPO ci possono essere anomalie del sistema nervoso enterico (neuropatia viscerale), della muscolatura liscia (miopatia viscerale) o delle cellule interstiziali di Cajal (mesenchimopatia). “Possiamo paragonare il funzionamento del nostro intestino al motore di un’automobile”, spiega il professore. “Il motorino d’avviamento sono le cellule di Cajal (dette anche ‘cellule pacemaker’); il motore vero e proprio è rappresentato dalla muscolatura liscia; l’albero di trasmissione è l’innervazione dell’apparato digerente. Basta che una sola di queste strutture subisca un guasto e la nostra automobile non riuscirà più a partire”.
Nella maggior parte dei casi di CIPO, l'origine dei disturbi a carico di questi tre elementi è ancora ignota. Tuttavia, studi recenti sono riusciti a identificare alcuni geni coinvolti nella patologia. Per quanto riguarda alcune forme miopatiche di CIPO, ad esempio, la causa è stata individuata nella mutazione del gene ACTG2 e l’ereditarietà della patologia sembra essere autosomica dominante (per manifestare la malattia basta ereditare una copia difettosa del gene da uno dei genitori). Esistono casi di CIPO in cui la mutazione può essere di nuova insorgenza (de novo) e casi in cui la comparsa dei sintomi è legata ad alterazioni nel cromosoma X (ad esempio nel gene FLNA). Infine, sono stati individuati pazienti con mutazioni a trasmissione autosomica recessiva, come quelle a carico dei geni RAD21 o SGOL1: in questo caso, per sviluppare la malattia occorre ereditare il difetto genetico da entrambi i genitori (portatori sani).
LO STUDIO
“Il mio team di ricercatori, in stretta collaborazione con la Prof.ssa Elena Bonora, sta conducendo diversi progetti di studio volti a identificare le cause genetico-molecolari della pseudo-ostruzione intestinale cronica”, racconta Roberto De Giorgio. Tale collaborazione ha portato all’identificazioni di vari geni mutati responsabili della CIPO, come ad esempio il RAD21. “Grazie anche al contributo di Fondazione Telethon, abbiamo recentemente sviluppato un modello murino della malattia causata da mutazione del gene RAD21, in grado di rappresentare le principali alterazioni fisiopatologiche e neuropatologiche osservate nei pazienti affetti da CIPO”.
“La grande innovazione di questa ricerca risiede proprio nell’aver introdotto il gene RAD21 mutato in un modello sperimentale murino. Il topo, infatti, essendo un mammifero, rappresenta un modello animale decisamente più somigliante all’uomo rispetto al pesce zebra (zebrafish), sia dal punto di vista fisiologico che genomico”, prosegue il professor De Giorgio. “Per ottenere questo modello abbiamo eseguito un ‘knock-in’, ovvero abbiamo introdotto - con avanzate tecniche biomolecolari - il gene RAD21 mutato nel genoma del topo, per studiarne l’effetto sulla componente neuronale enterica”. Le evidenze sperimentali hanno confermato che il fenotipo di malattia derivante dalla mutazione di questo gene è principalmente neuronale. “Il RAD21 è presente solo in alcune sottopopolazioni di neuroni del sistema nervoso enterico”, dichiara il professor De Giorgio. “Per esempio, si trova nei neuroni colinergici, che sintetizzano acetilcolina (neurotrasmettitore con funzione eccitatoria sui muscoli), mentre non è contenuto nei neuroni nitrergici, produttori di ossido nitrico (principale neurotrasmettitore inibitore)”.
“La scoperta della presenza del gene RAD21 nei neuroni colinergici ci ha permesso di porre una semplice, quanto fondamentale, domanda: cosa succede alla peristalsi intestinale in presenza di una mutazione in questo gene?”, prosegue De Giorgio. L’onda peristaltica, infatti, è un complesso meccanismo che prevede l’alternarsi coordinato di fasi di contrazione e rilassamento dei muscoli coinvolti. Lo stimolo contrattile viene trasmesso per lo più dall’acetilcolina, mentre quello di rilascio dall’ossido nitrico. “In condizioni normali, il RAD21, attraverso il lavoro di sintesi dell’enzima ChAT, è in grado di produrre acetilcolina”, chiarisce l’esperto. “Il gene mutato, invece, non dovrebbe dar luogo a questo tipo di espressione. Infatti, i topi knock-in creati in laboratorio presentano un numero ridotto di neuroni colinergici, proprio come riscontriamo nei pazienti affetti da CIPO. Quello che intendiamo ottenere con questo studio è una descrizione efficace di come il gene RAD21 influenzi la produzione di acetilcolina e alteri tutti i meccanismi successivi”.
“Studi di questo tipo hanno una grande importanza – conclude De Giorgio – perché solo attraverso una maggior conoscenza della malattia riusciremo a migliorare la gestione dei pazienti e ad alleviare le loro sofferenze con terapie mirate”.
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