LHON, quali prospettive dalla ricerca?

Terapia genica ma non solo: farmaci antiossidanti, cellule staminali e sostituzione del DNA mitocondriale sono tra le strategie di trattamento in via di studio

Nel 1871 l’oftalmologo tedesco Theodor Leber pubblicò sulla rivista Albrecht von Graefes Archiv für Ophthalmologie un denso articolo con un titolo, “Sulle malattie ereditarie e congenite dei nervi ottici”, che rievoca gli antichi trattati di medicina di Ippocrate o Galeno. In quella pubblicazione di oltre quaranta pagine, l’illustre medico descrisse per la prima volta la neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON), una malattia che porta ancora il suo nome - proprio come un’altra patologia della vista, l’amaurosi congenita, di cui Leber aveva pubblicato la descrizione due anni prima. A oltre centocinquant’anni di distanza si cerca ancora di sciogliere alcuni nodi del meccanismo patogenetico della LHON, per cercare un approccio terapeutico con cui fermarne la progressione.

Nel 1988 fu Douglas C. Wallace, genetista e biologo evoluzionista dell’Università della Pennsylvania, a stabilire un collegamento tra la LHON e le mutazioni del DNA mitocondriale, e da allora la malattia è divenuta protagonista di svariati studi pre-clinici nei quali sono stati valutati diversi approcci terapeutici, alcuni basati anche sull’utilizzo di cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) da trasformare in cellule gangliari retiniche (RGC), quelle che servono a trasmettere al nervo ottico gli impulsi da inviare cervello per creare le immagini di ciò che vediamo: è proprio la degenerazione delle RGC che porta all’atrofizzazione del nervo ottico e alla perdita della visione tipiche della LHON. Infatti, nella malattia si assiste a una perdita della vista in entrambi gli occhi, con la comparsa di uno scotoma centrale e una compromissione della visione a colori. Secondo le descrizioni, la LHON si sviluppa in tre fasi: quella pre-sintomatica, in cui la persona interessata non presenta manifestazioni evidenti; quella acuta, in cui il danneggiamento delle fibre nervose provoca problemi di acuità visiva danneggiando anche la visione dei colori; quella atrofica, caratterizzata dall’assottigliamento dello strato di fibre nervose della retina.

In seguito al recente ritiro della richiesta di commercializzazione in Europa della terapia genica sviluppata da GenSight Biologics, l’unica opzione di trattamento per la LHON è attualmente l’idebenone: tuttavia non si tratta di una terapia risolutiva, bensì di un farmaco che agisce sui sintomi della patologia. Pertanto va posto l’accento sulla prosecuzione delle ricerche, allo scopo di individuare una strategia di intervento in grado di bloccare la perdita della vista nei pazienti.

Tuttavia, ad oggi, eventuali opportunità di cura per la LHON sembrano non poter prescindere da una comprensione approfondita della base genetica della malattia. Più di un milione di assoni convergono dalle cellule gangliari nel nervo ottico, e necessitano di energia, che viene fornita dai mitocondri, per trasmettere impulsi al cervello: alla base della neuropatia ottica ereditaria di Leber ci sono alterazioni del DNA mitocondriale che sono in grado di bloccare questo processo. Ma le mutazioni del DNA mitocondriale sono ben più frequenti di quelle che coinvolgono il DNA nucleare e, nel caso della LHON, si tratta in molti casi di variazioni missenso, che possono compromettere gravemente la produzione di importanti proteine. In quasi il 70% dei pazienti con LHON è stata ritrovata una mutazione (11778 G>A) nel gene mitocondriale ND4, seguita da alterazioni nei geni ND1 e ND6. Esistono anche altre mutazioni - dette secondarie – che sono meno frequenti e il cui significato è attualmente oggetto di intense ricerche. I pazienti con la mutazione nel gene ND4 hanno la prognosi visiva peggiore: era destinata a loro la terapia genica di GenSight Biologics di cui (per ora) è stata ritirata la domanda di autorizzazione.

Al di là di quelli già citati, si sono aperti ulteriori filoni di studio che, si spera, conducano in futuro a un trattamento efficace. I più importanti sono riassunti in una recente review apparsa sulla rivista Cell e comprendono, oltre alla terapia genica, i trattamenti con cellule staminali, il ricorso a farmaci antiossidanti - come l’idebenone - e l’utilizzo di molecole che stimolino la sintesi di nuovi mitocondri.

Infine, sono allo studio anche tecniche di sostituzione del DNA mitocondriale (mtDNA). Dal momento che l’mtDNA viene trasmesso ai figli solamente dalla madre, il ricorso a queste procedure permette di sostituire il DNA mitocondriale materno mutato con quello di una donatrice sana: il DNA nucleare dell’ovulo della donna (oppure dell’embrione) viene estratto e trapiantato nel citoplasma di una cellula enucleata messa a disposizione da una donatrice il cui DNA mitocondriale non sia affetto da mutazioni. Si tratta di una tecnica di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) che prevede il ricorso a test genetici di diagnosi prenatale e che può essere eseguita con modalità differenti (trasferimento del fuso mitotico o dei mitocondri).

Nel 2017, sulla rivista Aging, è stato per la prima volta proposto un sistema per la sostituzione di mtDNA in cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) ottenute da pazienti con LHON, che poi sono state usate per ottenere cellule gangliari retiniche nelle quali il livello di sostanze ossidanti è risultato inferiore rispetto alle cellule malate. “Questo approccio sembra in grado di correggere le mutazioni dell’mtDNA in modelli cellulari di neuropatia ottica ereditaria di Leber, e potrebbe essere potenzialmente applicato anche ad altre malattie mitocondriali”, riferiscono gli autori della review di Cell, specificando, però, che si tratta di una tecnica le cui implicazioni e i cui vantaggi rimangono ancora tutti da esplorare.

La LHON, quindi, sembra rappresentare un modello di malattia mitocondriale ideale non solo per ricerche di terapia genica o cellulare, ma anche per lo sviluppo di altre possibili strategie di trattamento. Per tale motivo è necessario che scienziati e clinici continuino ad impegnarsi nello studio di questa invalidante malattia della vista, nella speranza di individuare nuove opzioni terapeutiche efficaci per le persone che ne sono affette.

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