A causa della patologia, il piccolo paziente deve recarsi in ospedale ogni settimana per ricevere un’infusione di alglucosidasi alfa. Trasporto e degenza sono rischiosi, e i genitori sono decisi a ottenere la somministrazione domiciliare del farmaco

Brescia - Questa è la storia di un bambino bresciano di sei anni affetto da glicogenosi di tipo II, più conosciuta come malattia di Pompe, ma soprattutto è la storia della battaglia legale che stanno combattendo i suoi genitori per provare a proteggerlo ancor più di quel che abbiano fatto finora. Per via della sua rara malattia, che provoca gravi danni muscolari, il bimbo è completamente paralizzato, ha subìto una tracheostomia e vive attaccato a un respiratore 24 ore su 24. Per alimentarsi ha bisogno di una Peg, e giorno e notte è costretto a sopportare uno stimolatore diaframmatico.

Ad essere al centro della ‘battaglia’ dei genitori è la modalità di somministrazione della terapia a cui il bimbo si deve sottoporre ogni settimana: ogni venerdì, infatti, il piccolo deve necessariamente ricevere un'infusione per via endovenosa di alglucosidasi alfa, il farmaco che gli consente di sopravvivere. Una pratica che finora lo ha sempre costretto ad abbandonare la sua cameretta alla volta dell’ospedale, attraverso un complicato viaggio in ambulanza.

Ogni settimana il rito si ripete: due volontari della Croce Bianca arrivano a casa, il bambino viene caricato su un telo con respiratore e aspiratore, umidificatore e saturimetro, poi condotto dal terzo piano del suo appartamento alla strada, a piedi, perché l’ascensore è troppo stretto. A questo punto, il bambino giunge in ospedale, nel reparto di Pediatria, dove ovviamente è esposto a rischi infettivi (anche perché riceve regolarmente immunosoppressori) e dove dovrebbe trovare una stanza a lui riservata. Molto spesso però, per motivi di spazio, è costretto a condividerla con altri pazienti. La sera, con tutta la famiglia, il bimbo torna a casa facendo un viaggio identico a quello del mattino, ma con molta stanchezza in più, e, può darsi, con un principio di raffreddore che potrebbe diventare polmonite. Un’operazione non priva di rischi, seppur svolta con tutte le cautele del caso.

I genitori del bambino, nel febbraio del 2016, con il sostegno dell’Associazione Italiana Glicogenosi (AIG), hanno chiesto alla Direzione dell’Asst Spedali Civili di Brescia di trasferire a domicilio il trattamento settimanale, anche alla luce delle positive esperienze raccolte all’estero in tal senso. Sebbene alglucosidasi alfa non rientri nell’elenco dei farmaci per i quali è prevista la somministrazione domiciliare, l’ospedale bresciano ha riconosciuto la ragionevolezza della richiesta, così pure il medico che ha in cura il bambino al San Gerardo di Monza, in quanto, sulla base della sua esperienza, non ci sarebbero elementi ostativi a fronte di un personale infermieristico istruito, e il quale inoltre ha emesso una certificazione sulle condizioni d’intrasportabilità assoluta del bambino. Analogo parere è stato espresso con decisione dal medico statunitense che periodicamente segue il bambino. Dopo questi segnali positivi, i genitori hanno sollecitato la Direzione del Civile, che ha risposto di essere in attesa di un riscontro da parte del Centro di coordinamento regionale delle Malattie rare.

Secondo il foglio illustrativo di alglucosidasi alfa, però, “il trattamento dev’essere somministrato sotto controllo di un medico esperto nella gestione dei pazienti affetti da malattia di Pompe”. Per questa ragione, la Direzione dell'ospedale bresciano non vuole farsi carico della responsabilità di un uso 'off-label' del farmaco, ossia di un utilizzo non ufficialmente approvato (Clicca qui per maggiori informazioni). Nonostante la situazione del bambino bresciano sia davvero speciale, la richiesta di terapia domiciliare avanzata dai genitori non è stata accolta. A un anno dalla prima domanda, questi hanno deciso di ricorrere al Tribunale di Brescia. Il ricorso è stato depositato il 17 gennaio scorso, il 23 febbraio si è tenuta l’udienza e, il 24 aprile, è stata emessa la sentenza: ricorso respinto, poiché è assente l’autorizzazione regionale.

Ma i genitori del bambino non si arrendono, e hanno proposto un reclamo, forti dei pareri dei medici che seguono il piccolo e anche della commissione tecnico-scientifica dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), che nel novembre 2016 aveva indicato nella struttura che ha in cura il paziente il soggetto cui tocca autorizzare la sperimentazione (e quindi non alla Regione). Una nuova attesa per i familiari del bimbo, nella speranza di una sentenza favorevole.

La vicenda è stata riportata dal Giornale di Brescia, in un articolo di Francesca Sandrini (18 maggio 2017).

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