La malattia di Lyme sta emergendo anche in Europa, a causa dei mutamenti ambientali globali. Lo sosterrebbe uno studio condotto da un team di ricercatori dell’University of Oslo, del Norwegian institute of bioeconomy research e del Norwegian veterinary institute, da poco pubblicato sulla rivista Nature.
Provocata dal batterio “Borrelia burgdorferi”, appartenente al genere “spirocheta” (un tipo di microrganismo a forma di spirale), la malattia è veicolata dalla puntura delle zecche del genere “Ixodes”. E il riscaldamento del clima e il diverso consumo del suolo starebbero contribuendo alla maggiore diffusione delle zecche nell’Europa settentrionale.
I sintomi della malattia - come sottolineano gli esperti Usa dei Centers for disease control and prevention (Cdc) - sono la presenza di macchie sulla pelle a forma di occhio di bue, accompagnate da dolori articolari, febbre, affaticamento e, nei casi più gravi non trattati tempestivamente, da disturbi neurologici e cardiaci.
La malattia di Lyme è una delle tante patologie trasmesse dalle punture degli insetti, sulla cui diffusione globale l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sta ponendo sempre più l’accento negli ultimi anni, ammonendo governi, autorità locali, privati e singoli individui a “dedicare loro l’attenzione globale che meritano”: si paventa, infatti, il rischio di un milione di morti l’anno.
Nei mesi scorsi la prestigiosa rivista “The Lancet Infectious Diseases” ha pubblicato uno studio sull’identificazione, negli Usa, di una nuova specie del batterio “Borrelia” legata alla malattia di Lyme. È stata denominata “Borrelia mayonii”, dal nome dell’istituto in cui è stata condotta la ricerca, la Mayo clinic di Rochester, nel Minnesota.
Negli Usa, infatti, la malattia di Lyme è, secondo il New York Times, “la patologia infettiva che si diffonde più rapidamente, dopo l’Aids”. Ed è proprio dagli stessi Stati Uniti, dove sono stati isolati i primi casi della malattia, che potrebbe arrivare anche un’efficace strategia di contrasto. I ricercatori del Massachusetts institute of technology (Mit) di Boston, la stanno cercando nei topolini dell’isola di Nantucket, nel Massachusetts, colpiti dalla patologia: gli scienziati del Mit, usando innovative tecniche d’ingegneria genetica, propongono di creare topi immuni al patogeno responsabile della malattia di Lyme, a una proteina contenuta nella saliva delle zecche, oppure a entrambi, con lo scopo di spezzare il ciclo della trasmissione della patologia. Sempre negli Usa, è in corso di sperimentazione un nuovo metodo di analisi del siero sanguigno che sembra in grado di rilevare la presenza del batterio che provoca la malattia poco tempo dopo avvenuta l'infezione, ossia durante una fase in cui gli esami attualmente disponibili non riescono, spesso, ad individuare la patologia.
Secondo Epicentro – il portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica dell’Istituto superiore di sanità (Iss) -, che fa riferimento proprio ai dati dell’Oms, “per numero di casi, la malattia di Lyme è seconda solo alla malaria fra le patologie che richiedono un vettore artropode per la diffusione”.
In Italia è stata individuata la prima volta nel 1983, in Liguria. Secondo Epicentro, “nel nostro Paese, nel periodo 1992-1998 si sono verificati circa un migliaio di casi di borreliosi di Lyme. Le regioni maggiormente interessate sono il Friuli Venezia Giulia, la Liguria, il Veneto, l’Emilia Romagna e il Trentino Alto Adige (Provincia autonoma di Trento). Nelle regioni centro meridionali e nelle isole, invece, le segnalazioni sono sporadiche”.
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