La diagnosi arriva con un ritardo medio di 13 anni per gli uomini e 18 per le donne, un ritardo che provoca l’instaurarsi di gravi danni nei pazienti, che in Italia sono circa 500

Un ritardo medio superiore ai 15 anni per la diagnosi della rara Malattia di Anderson Fabry (13 anni per gli uomini e 18 per le donne): è l’allarmate evidenza che emerge dai dati della letteratura medica internazionale che testimonia quanto ci sia ancora da fare nel campo della diagnosi tempestiva per questa rara patologia. Una malattia genetica dovuta alla carenza di un enzima che provoca danni al rene, al cuore ed al sistema nervoso, con un conseguente considerevole peggioramento della qualità di vita delle persone che ne vengono colpite (in Italia sono circa 500 quelle diagnosticate).
Di malattia, diagnosi e trattamento della rara Malattia di Anderson-Fabry si parlerà il prossimo 21 e 22 marzo a Roma in occasione del “3° Fabry Expert Lounge”.

Un appuntamento scientifico biennale - realizzato con il supporto non condizionato di Genzyme, società del Gruppo Sanofi -  che vede riuniti i massimi esperti internazionali per condividere gli ultimi aggiornamenti sulla patologia. Tra di loro il Dr. Alessandro Burlina, Direttore dell'Unità Operativa Complessa di Neurologia dell’Ospedale San Bassiano (Bassano del Grappa), esperto in malattie neurometaboliche ereditarie ed unico italiano presente nel Comitato Scientifico del Congresso.

"Il pregio di appuntamenti scientifici come il Fabry Lounge è quello di poter riunire i massimi esperti della malattia che possono dialogare tra di loro ed i partecipanti - spiega Burlina - La malattia di Anderson-Fabry è stata a lungo studiata dai Colleghi nefrologi e cardiologi. Sono fiero di poter dire che l'interesse per le complicanze neurologiche della malattia, che riguardano sia il sistema nervoso che periferico, è progressivamente aumentato nel tempo e trova maggior spazio in questi convegni internazionali".

Particolare attenzione in questa due giorni sarà dedicata al tema della diagnosi tempestiva realizzabile attraverso lo screening mirato della popolazione a rischio: di quei pazienti cioè che presentano problemi nefrologici, neurologici e cardiaci, che potrebbero essere riconducibili alla malattia di Anderson-Fabry. Per loro, un semplice prelievo di sangue è sufficiente per il dosaggio enzimatico ed il test genetico, esami fondamentali per garantire, in modo non invasivo ed a basso costo, la diagnosi della malattia. Perché una terapia esiste da più di 10 anni. Si tratta di agalsidasi beta: l’unica ad aver ottenuto dall’EMA il full approval per il trattamento di questa rara patologia e disponibile anche in mercati particolarmente esigenti dal punto di vista regolatorio, come quello americano.

“Un trattamento precoce è fondamentale per evitare l’instaurarsi di gravi danni, dovuti all'accumulo delle sostanze che l'enzima malfunzionante non degrada e che possono essere dannose per gli organi bersaglio della malattia. Per questo motivo è di primaria importanza lavorare con la classe medica perché si diffonda la consapevolezza di questa patologia e la si ricerchi quando il sospetto clinico è fondato. Faccio un esempio importante che riguarda la mia disciplina, la Neurologia. Ci sono degli ictus cerebrali, classificati come criptogenetici, cioè a causa nascosta, che colpiscono persone giovani al di sotto dei 45 anni. La malattia di Anderson-Fabry è in realtà tra le malattie da ricercare, perchè può essere causa d'ictus e la sua individuazione precoce permetterebbe anche di evitare danni agli altri organi. Trattare tardivamente vuol dire poter intervenire "solamente" sulla stabilizzazione della malattia. E’ importante, ma certamente la diagnostica precoce rimane l'obiettivo principale da raggiungere, perchè instaurando una terapia specifica si è in grado di ottenere una migliore qualità di vita per il Paziente ”, conclude Burlina.

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