E’ l’accumulo di Gb3, un glicosfingolipide, nel tessuto cardiaco a innescare cambiamenti patologici a livello microvascolare
Le complicanze cardiache della malattia di Fabry, una condizione patologica caratterizzata dal malfunzionamento dell’enzima lisosiomale alfa-galattosidasi (GLA), sono associate all’instaurarsi di difetti a livello macrovascolare, noti ai ricercatori, e microvascolare, ancora poco conosciuti. I risultati di uno studio nato dalla collaborazione tra l’Heart Rhythm Management Centre di Bruxelles e l’università di Zurigo e pubblicato su PlosOne chiariscono meglio che è l’accumulo di globotriesosilceramide (Gb3), uno sfingolipide, a causare danni al tessuto cardiaco e non l’azione diretta dell’enzima deficitario.
Le cellule endoteliali del tessuto cardiaco studiate hanno dimostrato di essere molto sensibili ai depositi di Gb3, che innescano vasocostrizione e il rilascio di segnali infiammatori: sono questi, secondo i ricercatori, dei potenziali target per una diagnosi precoce della malattia di Fabry e che possono identificare il quadro clinico prima del manifestarsi dei sintomi d’esordio della patologia. Inoltre, questi risultati possono contribuire all’adozione di trattamenti tempestivi: la terapia enzimatica che sostituisce la deficienza nell’enzima GLA tipica della malattia, infatti, non si dimostra particolarmente efficace nei pazienti in stadio avanzato, lasciando ipotizzare che una somministrazione precoce possa rallentare il meccanismo alla base della vasculopatia.
Mentre prima si credeva che fosse la deficienza dell’enzima lisosomiale GLA a innescare le complicanze legate alla malattia di Fabry, nell’ultimo decennio i ricercatori si sono concentrati sul ruolo di Gb3 e sui danni che può causare un suo accumulo. Questo studio mette in luce nuovi dettagli del meccanismo fisiopatologico che porta i pazienti a un peggioramento della qualità della vita e delle complicanze cardiache: il ruolo di Gb3 nel causare danni microvascolari, infatti, può dare una spiegazione anche di un maggiore rischio cardiaco anche nelle donne portatrici della malattia rara, seppure non manifestino la patologia.
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