L’intervista alla Prof.ssa Eloise Arbustini

Nella malattia di Fabry ha un ruolo chiave la genetica, sia quella clinica, che valuta i tratti fenotipici e le caratteristiche della malattia, sia quella molecolare, che invece studia la causa di patologia nel gene coinvolto, che in questo caso è responsabile della produzione dell'enzima alfa galattosidasi. “La genetica, infatti, definisce le caratteristiche cliniche pertinenti alla patologia stessa, e consente di identificarne la causa in modo assolutamente preciso”. Lo ha spiegato la Prof.ssa Eloisa Arbustini, Direttore Centro malattie genetiche Cardiotoracovascolari, L.S.R. Area Trapiantologica, Policlinico San Matteo, Pavia, in occasione del corso annuale "Time2Fabry, la Fabryca dell'esperienza", promosso da Shire e svoltosi il 16 e 17 novembre 2018 a Milano.

Conoscere la causa di malattia all’interno di una famiglia è un passaggio molto importante per molteplici motivi: da un lato consente di valutare anche i parenti e dall’altro tutte quelle condizioni cliniche che nella malattia stessa possono presentarsi. Basandosi sull’origine specifica dei problemi è possibile creare degli studi di correlazione genotipo-fenotipo tra la causa genetica e l’aspetto clinico, che permetteranno di approfondire le conoscenze scientifiche sull’argomento.

Si tratta di ricerche fondamentali, visto che del gene esistono numerosissime varianti, alcune delle quali sono assolutamente patologiche e causative, mentre altre invece non portano a malattia. Solo la corretta interpretazione di tali varianti può fornire le basi di una diagnosi precisa su cui prendere poi le migliori decisioni terapeutiche. A seconda delle varie mutazioni e soprattutto dei diversi fenotipi clinici di malattia cambia poi anche la presa in carico.

La composizione e/o l’organizzazione dei team multi-specialistici che sono coinvolti nella gestione delle diverse forme di malattia di Fabry possono cambiare in base al coinvolgimento di organi diversi, a seconda che, per esempio, sia prevalente un problema a livello renale o cardiaco, oppure un danno cerebrale. È quindi chiaro che ci si trova davanti a diverse necessità da parte del paziente, anche se, di fatto, va sottolineato che la sua cura resta affidata un approccio di gestione multidisciplinare, che resta la chiave dell'ottimale monitoraggio di questi pazienti.

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