Il documento di consenso è stato realizzato da esperti, medici e ricercatori del comitato scientifico dell’Associazione Italiana Macrodattilia e PROS
Sulla rivista internazionale Genes è stato pubblicato il primo studio italiano che fornisce indicazioni per la diagnosi, la presa in carico, la cura e il supporto ai pazienti affetti da una serie di patologie accomunate dalla mutazione del gene PIK3CA. Da questa anomalia genetica dipendono un gruppo di malattie congenite rare, le sindromi PIK3CA-correlate (PROS), caratterizzate da un accrescimento eccessivo e asimmetrico di uno o più distretti corporei.
Il titolo dello studio è “Strategie di diagnosi e trattamento per individui con condizioni correlate a PIK3CA: consensus di esperti del comitato scientifico dell’Associazione Italiana Macrodattilia e PROS” ed è il risultato di un lavoro durato due anni che ha coinvolto quattordici esperti, medici e ricercatori del comitato scientifico dell’Associazione Italiana Macrodattilia e PROS (AIMP), membro dell’Alleanza Malattie Rare.
Ma che cosa si intende con il termine “consensus”? Si tratta di un documento basato sul “consenso scientifico” che ha lo scopo di produrre indicazioni di buona pratica quotidiana, così da aiutare medici e pazienti a trovare il percorso più appropriato in determinate circostanze cliniche: insomma, una guida il più completa possibile alla presa in carico di una specifica patologia.
“In Italia, prima di questo studio, non esisteva un lavoro scientifico che fornisse orientamenti per la diagnosi, la gestione e il trattamento delle PROS”, spiega Andrea Gazzin, pediatra e dottorando presso il Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche dell’Università di Torino e primo autore dello studio. “Il lavoro pubblicato su Genes permette a qualsiasi medico di trovare informazioni e direttive precise per aiutare un paziente con una malattia così rara e specifica, che necessita di un approccio personalizzato e multidisciplinare. Offre inoltre l’opportunità di suggerire l’eventuale presa in carico da parte di un centro con esperienza sulle PROS”.
A seconda dei distretti corporei e dei tessuti coinvolti, le PROS richiedono la gestione da parte di più figure professionali: pediatra, genetista, psicologo, ortopedico, dermatologo, neurologo, neurochirurgo, neuropsichiatra, chirurgo plastico, chirurgo maxillo-facciale, chirurgo vascolare, fisiatra, fisioterapista, logopedista, anatomo-patologo, oculista, terapista occupazionale, neuropsicomotricista, audiologo, dentista/ortodontista, tecnico protesista, nutrizionista, pneumologo, endocrinologo. “Una lunga lista di medici, da declinare in maniera diversa da caso a caso – continua Gazzin – ma che ha bisogno, innanzitutto, di un coordinatore, prima pediatra e poi, in età adulta, medico internista/genetista, che abbia il ruolo di “regista” di questo percorso. Una figura che coordini e moduli esami, accertamenti e terapie, ottimizzando il percorso assistenziale, proponendo il necessario, evitando il superfluo e la medicalizzazione eccessiva, e quindi semplificando la vita del paziente e della sua famiglia. All’interno dello studio si trovano le sezioni su come effettuare la diagnosi genetica, sull'approccio terapeutico e sul follow-up, sul ruolo della riabilitazione e sul necessario supporto psicologico per pazienti e famiglie”.
Inoltre, il documento contiene anche una riflessione su cosa accade al giovane paziente quando crescerà e, in teoria, non sarà più di competenza pediatrica. “Da noi arrivano anche pazienti in età adulta perché da bambini non sono stati ‘inquadrati’ e la malattia non è stata diagnostica, o perché non trovano specialisti esperti della condizione”, racconta Germana Viscogliosi, specializzanda in pediatria e ricercatrice del Centro per le Malattie Rare della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma. “Per questo, speriamo che il nostro studio aiuti a ovviare a questo problema. Purtroppo, in Italia non c’è ancora un sistema che regolamenti la transizione del paziente con malattia rara dall’età pediatrica a quella adulta. Noi, quindi, ci ritroviamo spesso in un reparto di malattie rare pediatriche a trattare pazienti adulti, anche di 40 o 50 anni, poiché sono insufficienti le figure adeguatamente formate sulla materia che possano occuparsene. Sono quindi pazienti che restano in carico ai pediatri anche per tutta la loro vita”.
Un problema che però non è solo italiano. “Il nostro Paese, infatti, è decisamente all’avanguardia per quanto riguarda le PROS”, interviene la dottoressa Chiara Leoni, tra i massimi esperti italiani di PROS e pediatra e ricercatrice del Centro Malattie Rare della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma, diretto dal professor Giuseppe Zampino, docente in pediatria dell’Università Cattolica. “In termini di conoscenza di questa malattia rara e in termini di centri in grado di eseguire un trattamento – prosegue Leoni – siamo allineati agli Stati Uniti e ai Paesi europei più all’avanguardia. Abbiamo anche numeri di pazienti importanti, pur nella rarità, che permettono di raccogliere dati di storia naturale della malattia e utili per la ricerca. Dobbiamo solo imparare a condividere il nostro expertise con tanti specialisti, perché il nostro livello di formazione e di esperienza non ha nulla da invidiare a quello dei colleghi americani o europei. Con il nostro lavoro speriamo anche di ampliare il dialogo tra le diverse figure professionali che si occupano di queste malattie e di far crescere tutti: gli specialisti, i giovani medici e pure gli studenti, perché si appassionino al tema delle malattie rare, che è complesso e fino a pochi anni fa negletto”.
Proprio il tema della condivisione del sapere è centrale per la responsabile scientifica dell’associazione AIMP, Federica Borgini, che ha partecipato allo studio ed è madre di una ragazza con PROS: “Voglio sottolineare che questa pubblicazione è stata fatta in una rivista “open access”, che significa ad accesso libero, fruibile a chiunque, nel senso che non si paga per leggere l’articolo. Ed è un valore aggiunto fondamentale. Spesso alle informazioni scientifiche viene messo un lucchetto, ma noi, come associazione di pazienti, crediamo fermamente che tutti debbano poter accedere alle nuove conoscenze. È lo stesso principio che applicheremo per tutti gli studi legati al nostro registro di patologia, che ha preso il via l’anno scorso. Non si tratta solo di un database, ma di un vero e proprio studio clinico, che ha lo scopo di raccogliere informazioni sui partecipanti nel corso del tempo. Grazie al registro si potranno mettere a disposizione della ricerca dati diagnostici, clinici e genetici che saranno di grande aiuto per lo studio di questa particolare serie di patologie e per l’aggiornamento delle attuali indicazioni clinico-diagnostiche”.
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