Il dr. Ranghino e la dr.ssa Di Luca raccontano un caso clinico unico in Italia: quello di un giovane che grazie al farmaco lumasiran ha avuto necessità del solo trapianto di rene
Ancona/Pesaro – Nel novembre 2021 abbiamo raccontato il caso clinico di un ragazzo di 33 anni, giunto all'ospedale di Pesaro con un'insufficienza renale cronica all'ultimo stadio, per cui era stata avviata una dialisi urgente. In seguito a una serie di esami (ecografia, TAC, biopsia renale, dosaggio di ossalemia e ossaluria e infine test genetico), si giunse alla diagnosi di iperossaluria primitiva di tipo 1 (PH1), una rara malattia genetica che, nel caso specifico, risultava essere non responsiva al trattamento con piridossina (vitamina B6).
Il giovane ha poi iniziato il trattamento con il farmaco lumasiran, che si basa sulla tecnologia dell’RNA interference (RNAi), ed è stato iscritto nella lista d'attesa per il trapianto di rene. Poco più di un anno dopo, il 16 dicembre 2022, quel trapianto è stato eseguito e il ragazzo sta bene: si tratta del primo e finora unico paziente in Italia (e fra i primi al mondo) in terapia con lumasiran ad aver affrontato con successo un trapianto di rene isolato.
“Quando è arrivato presso il nostro ospedale, il paziente, a causa delle sua grave compromissione renale, è stato sottoposto a trattamento emodialitico ad alta efficienza con ritmo trisettimanale, con buona tolleranza allo stesso e condizioni soggettive interdialitiche buone”, spiega oggi, ripercorrendo la vicenda, la dr.ssa Marina Di Luca, direttore dell'Unità Operativa Complessa di Nefrologia e Dialisi dell'ospedale di Pesaro. “Successivamente è stata avviata anche la terapia con lumasiran, che il paziente ha proseguito con somministrazioni trimestrali del farmaco come previsto dal protocollo di mantenimento, senza reazioni avverse cliniche o di laboratorio, e con una riduzione graduale e progressiva dei valori di ossalemia. Dalle valutazioni clinico-strumentali effettuate per l'immissione in lista d'attesa per il trapianto renale non sono emerse complicanze a carico di altri organi, secondarie al deposito di ossalati. La terapia con lumasiran, dunque, ha permesso al paziente di arrivare al momento del trapianto in buone condizioni cliniche”.
Il farmaco, infatti, è risultato efficace nel ridurre del 42% i livelli plasmatici di ossalato rispetto al valore riscontrato dopo tre mesi dall'inizio della dialisi: da 190 micromoli/L nel settembre 2020 (primo dosaggio) a 80 micromoli/L nel maggio 2021. A spiegare il significato di questi numeri è il dr. Andrea Ranghino, direttore della SOD di Nefrologia, Dialisi e Trapianto Rene dell'AOU delle Marche e responsabile del Programma di Trapianto Rene delle Marche: “Il valore massimo dei livelli di ossalato nel sangue per un soggetto sano è di 4 micromoli/L. Il valore è lo stesso anche per un paziente affetto da iperossaluria primitiva di tipo 1 con funzione renale normale, perché in quel caso i reni riescono ad eliminare la sostanza, sebbene l'eccesso di eliminazione degli ossalati nelle urine comporti la formazione di calcoli e l'insufficienza renale cronica secondaria alla precipitazione degli ossalati nel rene”.
“Nel caso in cui un paziente affetto da PH1 presenti una riduzione della funzione renale di grado medio-severo – prosegue Ranghino – i livelli di ossalato nel sangue aumentano oltre il valore normale e questa sostanza si va a depositare in vari organi e tessuti, inclusi i vasi, il cuore, le ossa e l'occhio, determinando una malattia molto grave chiamata ossalosi sistemica. Il nostro paziente, alla diagnosi di PH1, eseguita circa tre mesi dopo l'avvio del trattamento dialitico per la concomitanza di una severa insufficienza renale, presentava un valore di ossalato nel sangue pari a 190 micromoli/L. Considerando che la dialisi rimuove gli ossalati dal sangue, è ipotizzabile che questi livelli, prima dell'inizio della dialisi, fossero ancora maggiori. Insomma, senza la dialisi e senza il trattamento con lumasiran il paziente sarebbe presto andato incontro a un'ossalosi sistemica”.
Il lumasiran, infatti, riduce la produzione di ossalato nel fegato, ma quello già accumulato nei tessuti, e soprattutto nell'osso, può staccarsi e rientrare nel sangue, rendendo insufficiente l'azione del farmaco nella riduzione sino a valori attorno a 30 micromoli/L, che sono quelli attesi nel paziente in dialisi. Tuttavia, la riduzione di ossalato da 190 a 80 micromoli/L ottenuta con il lumasiran ha indotto i clinici del Centro Trapianti a valutare il trapianto di rene isolato anziché il trapianto combinato fegato-rene, opzione terapeutica, quest’ultima, considerata lo standard nella PH1 in assenza di lumasiran.
Inoltre, considerando l'aumentato rischio di morte a causa di eventi cardiovascolari legato al quadro di iniziale ossalosi sistemica, per il paziente è stata richiesta e ottenuta l'immissione in lista di trapianto in urgenza relativa (ovvero con precedenza nell’attribuzione dell’organo rispetto a casi meno gravi) e con un rene da donatore deceduto ottimale. Quello di Ancona è l'unico Centro per il trapianto renale nelle Marche, ma viene scelto frequentemente anche da chi non vive nella regione: chi è in lista d'attesa, infatti, può scegliere di fare l'intervento in un'altra regione oltre a quella dove risiede, e oggi il Centro di Ancona ha il 43% di richieste da fuori regione, specialmente da Umbria, Abruzzo e Molise.
Il 16 dicembre 2022, il giovane paziente seguito dalla dr.ssa Di Luca ha ricevuto la tanto attesa telefonata ed è stato trapiantato con successo presso la SOD di Nefrologia, Dialisi e Trapianto Rene di Ancona, diretta dal dr. Ranghino. “Oggi sta molto bene: la sua funzione renale è ottima, il livello di ossalati nel plasma è sceso a 16 micromoli/L e la perdita di ossalati nelle urine continua a ridursi, passando da oltre 300 mg al giorno nell’immediato post-operatorio agli attuali 90 mg nelle 24 ore, un dato straordinario”, sottolinea il nefrologo. “Prima dell'approvazione del lumasiran – farmaco che dovrà assumere per tutta la vita – il giovane avrebbe dovuto affrontare un trapianto combinato di fegato e rene, un intervento più demolitivo rispetto al trapianto di rene isolato”, conclude il dr. Ranghino. “Ma l'aspetto più importante di questa vicenda è che il fegato è un organo salvavita, un organo che è stato possibile destinare a un'altra persona”.
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