Il punto grazie al meeting sull’ipercolesterolemia familiare organizzato dalla European Atherosclerosis Society
Solo negli Stati Uniti ci sono più di 650mila persone affette da ipercolesterolemia familiare, ma solo il 10% di loro ha ottenuto una diagnosi. “L’obiettivo principale è creare consapevolezza”, racconta Stacey R. Lane, membro del consiglio direttivo dell’FH Foundation. “Ogni anno, fra le varie iniziative, organizziamo l’FH Awareness Day. Nel gennaio scorso la FH Foundation ha lanciato il progetto Find FH (Flag, Identify, Network, Deliver), in collaborazione con la Stanford University School of Medicine e con il supporto della casa farmaceutica Amgen”.
Find FH è un’iniziativa tesa a identificare le persone che sono a profondo rischio di malattie cardiache precoci e aggressive attraverso l’uso di tecnologie innovative. Il progetto integrerà il registro dei pazienti della fondazione, l’unico database dedicato all’incidenza della malattia negli Stati Uniti. I pazienti identificati da Find FH avranno la possibilità di aderire al registro dei test a cascata, contribuendo a migliorare i dati e le conoscenze relative alla patologia.
Sempre negli Stati Uniti è attiva la PCNA (Preventive Cardiovascular Nurses Association). Come ha spiegato la presidente Sue Koob, “la PCNA è un’organizzazione infermieristica che si pone l’obiettivo di prevenire le malattie cardiovascolari. Sul nostro sito ci sono tante risorse, informazioni scientifiche, notizie in diverse lingue e materiale per la distribuzione in vari paesi. Collaboriamo attivamente con altre associazioni e ogni anno organizziamo un simposio sull’ipercolesterolemia familiare: l’ultimo summit di esperti si è svolto nell’agosto 2014. Abbiamo sviluppato dei video di istruzioni, per esempio su come fare le iniezioni, e realizzato una campagna promozionale sul colesterolo con distribuzione di brochure su larga scala”.
In Russia la situazione è preoccupante: come ha spiegato il prof. Andrey Susekov, 1.200.000 persone ogni anno muoiono a causa di malattie cardiovascolari e l’aspettativa media di vita è di 66 anni, anche se il governo si sta impegnando per sollevarla. “La prevalenza dell’ipercolesterolemia familiare nella Federazione Russa è di 1/500: ciò significa, considerando l’entità della popolazione, più di 300mila persone affette. Lo screening a cascata si ferma all’11%, a causa della scarsa presenza di laboratori genetici. Le linee guida della FH International Foundation sono state tradotte in russo, dei cartelloni pubblicitari sono stati affissi a Mosca e un libro tascabile è stato stampato in 25mila copie e distribuito ai cardiologi”.
Le malattie cardiovascolari, in Uruguay, sono la prima causa di morte, anche se negli ultimi anni la mortalità sta calando grazie alla lotta al fumo. “In tutto il Sud America la prevalenza è di 1/500”, riferisce il prof. Mario Stoll. “Il mio è un Paese molto piccolo, con una popolazione di soli 3.400.000 persone e 6.800 casi stimati, ma quelli che ottengono la diagnosi e il trattamento sono meno dell’1%. Ogni struttura sanitaria possiede un software specifico creato per la gestione dei dati sull’ipercolesterolemia e la biologia molecolare è gratis per tutti i pazienti”. L’Uruguay fa parte, insieme a Spagna, Portogallo, Argentina, Brasile, Cile e Messico, della Rete Iberoamericana dell’ipercolesterolemia familiare, fondata nell’agosto del 2013. Il terzo simposio della Rete si terrà a Santiago del Cile nel settembre 2015.
Per Gunnar Karlsson (Svezia), presidente dell’associazione dei pazienti FH Sweden, “occorre puntare sulla prevenzione e far capire ai governi che in questo modo possono risparmiare soldi. I politici dovrebbero pensare che la prevenzione di questa malattia è un investimento, del quale non vedranno i risultati ora, ma sicuramente fra quindici o vent’anni”.
In Australia i principali gruppi di supporto per l’iperocolesterolemia familare sono nati a Melbourne negli anni ’90, a Sidney nel 2004 e a Perth nel 2009, come ha spiegato Waleed Farid, co-fondatore del gruppo di supporto per pazienti con ipercolesterolemia familiare dell’Australia occidentale. “Un registro nazionale è in via di realizzazione e ogni anno organizziamo degli incontri informativi aperti al pubblico, con la presenza di ospiti famosi. La maggior parte dell’Australia, però, è priva di gruppi di supporto”.
In Sudafrica il primo caso è stato descritto nel 1977. “Oggi si stima che ci siano almeno 120.000 persone con ipercolesterolemia eterozigote”, spiega il prof. Frederick J. Raal. “Gli esperti hanno tracciato delle linee guida e distribuiscono brochure sulla patologia”.
Per la cardiologa Meral Kayikcioglu (Turchia) occorre diffondere la conoscenza della patologia specialmente fra i medici. “Spesso anche gli stessi cardiologi non sono abbastanza preparati. Bisogna ripartire dall’inizio della formazione medica: il lavoro deve iniziare dalle università, dove si fa giusto un cenno all’ipercolesterolemia familiare e si dedica pochissimo tempo al suo studio”.
“È un’ottima cosa iniziare a ragionare in senso globale come stiamo facendo ora”, ha detto la prof. Tania Martinez. “In Brasile, nel maggio 2014, è stata fondata l’associazione AHF, che ha appena approvato un piano strategico che guidi le nostre iniziative nel 2015 e 2016. Alla prima riunione hanno partecipato oltre 120 pazienti e familiari. È importante avere una visione per il futuro: i nostri obiettivi sono ridurre il numero degli attacchi di cuore, migliorare i test genetici, trovare dei rimedi per gli effetti collaterali dei trattamenti e garantire i diritti dei pazienti”.
Più difficile la situazione a Taiwan, come ha raccontato il dr. Ta-Chen Su: “Non abbiamo alcun tipo di supporto da parte del governo, non abbiamo advocacy, né fondazioni, ma organizzare un gruppo che riunisca i pazienti è uno dei nostri obiettivi per il futuro Dal 2002 al 2011 abbiamo reclutato un centinaio di pazienti con livelli di colesterolo LDL superiori a 290 e li abbiamo sottoposti a controllo. A Taiwan le mutazioni complesse nell’ipercolesterolemia eterozigote non sono infrequenti, ma quasi tutti i pazienti possono ottenere grandi benefici dalla terapia con statine ed ezetimibe”.
E in Italia? I pazienti sono ancora poco organizzati e non esiste una vera e propria advocacy. Ma la strada è lunga e i buoni esempi non mancano.
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