LONDRA (REGNO UNITO) – Lo sviluppo di nuovi farmaci è caratterizzato da altissimi “tassi di attrito”: il rapporto tra farmaci in sviluppo e quelli che arrivano effettivamente in produzione. Per ogni nuovo farmaco che raggiunge il mercato, infatti, sono circa 10.000 i composti che non riescono a dimostrare l’efficacia clinica. I fallimenti avvengono principalmente durante la fase di passaggio dallo sviluppo preclinico a quello clinico, e nella fase II; la più comune causa di attrito è l’efficacia a scapito della sicurezza. Il campo respiratorio non è da meno, con uno dei numeri più bassi, fra tutti i settori medici, di nuovi medicinali autorizzati negli ultimi 40 anni.
In questo panorama, fino a poco tempo fa non era disponibile alcun trattamento farmacologico per la fibrosi polmonare idiopatica (IPF), una rara malattia dovuta a cause in gran parte sconosciute, con una sopravvivenza media stimata in circa 3 anni dalla diagnosi. Dopo un decennio di sviluppo clinico deludente, il pirfenidone (Esbriet) ha ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio in Europa nel 2011 e il nintedanib (Ofev) nel 2015. I fallimenti passati sono stati attribuiti alla patogenesi eterogenea della malattia, all’inopportunità dell’impostazione degli studi clinici e degli endpoint utilizzati, e alla mancanza di merito dei prodotti studiati, che in molti casi sono stati riutilizzati e non specificamente sviluppati per l’IPF.
Nonostante il pirfenidone e il nintedanib abbiano dimostrato di rallentare il declino della funzione polmonare negli studi clinici su cui si basa la loro approvazione, i loro effetti sulla prognosi a lungo termine della malattia sono ancora conosciuti solo parzialmente. Ciò, insieme all’emergente evidenza di diversi fenotipi nell’IPF e alla mancanza di cure per le malattie polmonari interstiziali diverse dall’IPF, rende questa una zona con necessità terapeutiche altamente insoddisfatte.
È questa l’area di indagine sulla quale si sono soffermate, nel loro studio pubblicato sulla rivista BMC Medicine, due responsabili scientifiche dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA): Laura Fregonese, dell’Ufficio Farmaci Orfani, e Irmgard Eichler, dell’Ufficio Farmaci Pediatrici. Ad oggi, 12 medicinali hanno ottenuto la designazione di farmaco orfano per il trattamento dell’IPF da parte dell’EMA, la maggior parte ancora nella fase di sviluppo preclinica.
Per le autrici è giunto il momento di standardizzare gli endpoint e raggiungere il consenso sul loro uso per i diversi quesiti clinici e per gli specifici fenotipi dell’IPF: “Al fine di facilitare lo sviluppo di nuovi farmaci è fondamentale che la conoscenza della malattia e gli insegnamenti tratti dagli studi passati vengano portati avanti per creare reti di sperimentazioni internazionali con il coinvolgimento dei pazienti, includendo le biobanche e le raccolte di dati clinici attraverso un registro multinazionale”.
L’interazione con le autorità di regolamentazione per favorire l’approvazione di nuovi farmaci può essere utile per allineare le iniziative del mondo accademico e quelle delle aziende farmaceutiche con gli organi cui incombe l’onere di concedere le licenze ai nuovi prodotti, e ciò può avvenire attraverso programmi di qualificazione per i biomarcatori e gli endpoint, e con la partecipazione a iniziative e percorsi normativi innovativi. Infine, l’esperienza della fibrosi polmonare idiopatica deve essere applicata allo sviluppo di farmaci per le malattie polmonari interstiziali, comprese quelle pediatriche, per le quali non è ancora disponibile un trattamento.
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