Il dato emerge da uno studio inglese condotto su un ampio campione di pazienti che hanno iniziato la terapia dietetica entro il primo mese di vita
Londra (REGNO UNITO) – La fenilchetonuria (PKU) è la malattia metabolica ereditaria più comune in Europa e negli Stati Uniti, con una prevalenza di circa un caso su 10.000 persone. È considerata il simbolo dell’importanza dello screening neonatale: è infatti la prima patologia in assoluto per cui sia stato messo a punto un test che a partire da un prelievo di sangue consente di individuarla molto precocemente, quando ancora si può cambiarne il destino. In questa condizione, infatti, la carenza di un enzima compromette la conversione dell'aminoacido fenilalanina in tirosina, e ciò provoca l'accumulo di fenilalanina a concentrazioni tossiche che, senza trattamento, provoca danni neurologici gravi e irreversibili.
Il trattamento dietetico della PKU è stato introdotto negli anni '50: i pazienti seguono una dieta ipoproteica e assumono sostituti proteici a basso contenuto di fenilalanina. Dall'inizio degli anni '70, i neonati vengono sottoposti a screening per la malattia, e ciò consente di iniziare il trattamento nelle prime settimane di vita, evitando il ritardo mentale e quello nell'accrescimento. Aderire al trattamento dietetico, però, è costoso e impegnativo, e molti adulti affetti hanno concentrazioni di fenilalanina ben al di sopra di quelle indicate dalle attuali linee guida.
Diversi studi hanno suggerito che in alcuni adulti con PKU trattati precocemente gli esiti cognitivi e psicosociali possano essere subottimali, e ciò può essere spiegato da una scarsa aderenza ai trattamenti dietetici. Tuttavia, spesso questi studi impiegavano campioni di piccola dimensione e adottavano definizioni, misure di esito e cut-off diversi.
Questi campioni avevano anche la tendenza a comprendere partecipanti con fenilalanina ematica ben controllata e individui che probabilmente non erano stati trattati abbastanza presto da evitare danni neurologici, e ciò ha reso difficile l'esame completo della relazione fra controllo metabolico e risultati. Per cercare di affrontare questi problemi, un team di ricercatori inglesi ha selezionato il più ampio campione di adulti con PKU trattata precocemente studiato fino ad oggi, ne ha descritto gli esiti cognitivi e psicosociali a lungo termine e il rapporto di questi ultimi con le concentrazioni ematiche di fenilalanina riscontrate nei pazienti durante in età pediatrica, adolescenziale e adulta.
Lo studio, pubblicato sul Journal of Inherited Metabolic Disease, ha incluso fra i partecipanti 154 adulti che alla nascita avevano ricevuto una diagnosi di fenilchetonuria grazie allo screening neonatale e avevano quindi potuto iniziare il trattamento dietetico entro il primo mese di vita. I pazienti sono stati sottoposti a test cognitivi che hanno valutato attenzione, apprendimento, memoria di lavoro, linguaggio, funzioni esecutive e velocità di elaborazione. Altri test hanno riguardato le funzioni psicosociali di 149 pazienti, che hanno documentato l'aspetto educativo, occupazionale, emotivo, sociale e della qualità di vita. Queste misurazioni sono poi state confrontate con quelle di un gruppo di controllo, composto da persone non affette e simili ai pazienti relativamente ai fattori socio-economici, in modo da poterle abbinare nel miglior modo possibile. A ciascun partecipante con PKU, infatti, è stato chiesto di indicare una persona appartenente alla stessa famiglia e di età simile: idealmente un fratello, una sorella o un altro parente non affetto.
Molti adulti affetti da fenilchetonuria hanno mostrato deficit cognitivi, che più frequentemente influivano sulla velocità di elaborazione (23%), sulle funzioni esecutive (20%) e sull'apprendimento (12%), ma solo la velocità di elaborazione era significativamente correlata alla concentrazione di fenilalanina al momento del test. I partecipanti allo studio, tuttavia, non differivano dai controlli sani in termini di istruzione, lavoro, qualità di vita, emotività e rapporti familiari, e mostravano solo piccole differenze nello stile di relazione.
“Nei test cognitivi, il nostro ampio campione di adulti con fenilchetonuria ha mostrato alcune differenze rispetto alla norma della popolazione, coerenti con quelle riportate da altri studi”, spiegano i ricercatori inglesi. “Più della metà dei partecipanti, tuttavia, ha ottenuto punteggi che ricadevano all'interno dell'intervallo ritenuto normale in tutti gli ambiti presi in considerazione. Inoltre, i pazienti trattati precocemente avevano normali esiti educativi e occupazionali, e tassi di ansia e depressione che non differivano da quelli del gruppo di controllo composto da familiari non affetti. Infine, nel gruppo di coloro che avevano raggiunto adeguati livelli di fenilalanina durante l'infanzia, non c'è stata alcuna differenza nei principali risultati cognitivi e psicosociali tra quelli che da adulti avevano continuato a mantenere basse concentrazioni di fenilalanina nel sangue e quelli che invece avevano allentato notevolmente il loro trattamento dietetico”.
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