Francesco FioriniLa testimonianza: ‘vorrei essere un esempio per i giovani con la malattia. Fare sport si può!’

Casalecchio di Reno (Bo) - Francesco Fiorini, 45 anni, è uno degli otto pazienti emofilici che ha partecipato lo scorso 1 novembre alla Maratona di New York, nell’ambito del progetto Marathon, della Federazione delle Associazioni degli Emofilici (FedEmo), nato nel 2013.

Francesco, che significato ha avuto per te partecipare alla Maratona di New York?
Per me è stata la dodicesima maratona a cui ho partecipato, ma comparata a tutte le altre questa è stata un’esperienza stupenda. Non immaginavo fosse qualcosa di così bello.
Sono stato molto motivato dal progetto di FedEmo. Avendo vissuto da emofilico tutte le problematiche legate allo sport quando ero ragazzino, spererei che quest’esperienza fosse un grande esempio per i giovani affetti da emofilia per incoraggiarli a fare attività sportiva. Anche mentre correvo, pensavo molto a questo, specialmente nei momenti di difficoltà: mi ha fatto andare avanti il desiderio di completare il progetto e proprio quello di essere un esempio.

L’emofilia, nel corso della vita, ti ha limitato nelle tue attività sportive?
Mi ha limitato soprattutto in adolescenza e da bambino, nell’ambito dello sport scolastico. Ricordo che quando ero piccolo, quando dicevo a scuola che avevo l’emofilia, tutti gli anni succedeva che venivo sospeso da ginnastica… ed era imbarazzante con i compagni, poi dovevo sempre spiegare agli altri cos’avevo. E nella vita quotidiana tutti gli altri bambini facevano calcio, judo, pallavolo, basket… ed io non ho mai potuto fare nulla. Ma erano altri tempi, oggi è diverso.

E nella tua vita quotidiana quanto ha inciso?
Nella vita quotidiana ha inciso meno, ho presto aquisito consapevolezza della malattia. Fortunatamente non ho un’emofilia di tipo grave e non ho mai avuto grossi problemi o traumi… quindi non ho mai avuto grosse limitazioni.
L’emofilia mi è stata diagnosticata intorno ai 7-8 anni, non mi sono mai sottoposto a cure particolari, ho fatto solo terapie al bisogno, ad esempio da ragazzino quando mi è capitato qualche episodio traumatico. Dopodiché ho preso consapevolezza di cosa avevo e mi sono reso conto che dovevo essere più attento a fare alcune cose, come ad esempio a guidare il motorino.
Inconsciamente mi ha aiutato molto esplicitare il mio problema, a dirlo subito agli altri, per rompere il ghiaccio. La consapevolezza della malattia mi ha aiutato a non sentirmi inferiore o a pormi dei limiti. Riesco a fare tutto. A dire il vero ho avuto più ansia negli ultimi anni, da quando sono diventato padre di due figli… ho paura che mi capiti qualcosa, ecco!

Quale messaggio vorresti lanciare con quest’esperienza della maratona?
Vorrei che i giovani e i bambini emofilici si rendessero conto che - con le precauzioni del caso - lo sport si può fare e può essere anche un aiuto fisico ed emotivo emotiva per la malattia. Chi è allenato può rispondere meglio, ad esempio, ad eventuali traumi.
Quando ho iniziato a correre, durante la prima maratona avevo paura che le mie caviglie e articolazioni non reggessero, ma è stata una sfida, non volevo farmi condizionare dall’emofilia. Con un po’ di attenzione possiamo fare tutti sport… anche una maratona!

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