Quella giusta arriva mediamente dopo 4 anni: va peggio se non c’è una storia familiare e se l’esordio avviene dopo i 55 anni, soprattutto per i maschi.
Un ritardo diagnostico che spesso fa perdere importanti opportunità terapeutiche
Molto comunemente si è portati ad associare il problema delle malattie rare alla scarsità di farmaci - detti appunto farmaci orfani - che siano in grado di trattarle sistematicamente. Tuttavia, uno dei principali ostacoli che il medico si trova ad affrontare nello studio delle patologie rare si presenta già in fase diagnostica dal momento che capita con una certa frequenza che non si riesca a formulare una diagnosi precisa o addirittura corretta. Va spiegato che la quasi totalità delle malattie rare, come nel caso delle amiloidosi, si presenta con sintomi aspecifici e piuttosto vaghi, non facilmente riconducibili ad una patologia dai tassi di incidenza talmente bassi che solo pochi individui per continente ne sono affetti.
A tal proposito risulta illuminante l'articolo pubblicato sulla rivista Journal of Neurology, Neurosurgery, & Psychiatry (JNNP) da un gruppo di studio italiano coordinato dal prof. Giampaolo Merlini e dalla prof.ssa Laura Obici del Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche di Pavia. Nel loro lavoro i ricercatori hanno riesaminato le cartelle cliniche di 150 pazienti affetti da amiloidosi da accumulo di transtiretina (amiloidosi ATTR), una rara forma ereditaria di amiloidosi provocata da una specifica alterazione genetica che determina un accumulo di transtiretina in organi vitali come il cuore ed i nervi che regolano la sensibilità degli arti inferiori e superiori. L'amiloidosi ATTR rientra nell'universo delle amiloidosi, al quale appartengono molte forme di malattia, ognuna delle quali è determinata dall'accumulo di proteina fibrillare amiloide nei tessuti. Oltre a trattarsi di malattie dalla bassissima frequenza, esse hanno un'elevata variabilità fenotipica, con sintomi che possono essere facilmente confusi con quelli di altre patologie come quelle del sistema cardiovascolare alcune malattie infiammatorie croniche.
I ricercatori hanno osservato che in quasi un paziente su tre la malattia è stata inizialmente confusa con altre affezioni come la polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica (CIDP), la radicolopatia lombo-sacrale, la neuropatia paraproteinemica periferica o altre neuropatie acquisite. Si tratta di un dato piuttosto sconfortante se si considera che i progressi nella ricerca hanno permesso di fare consistenti passi avanti nell'elaborazione di una terapia: il trapianto di fegato è una prima opzione alla quale si accompagna un pannello di farmaci come Tafamidis e Diflunisal, particolarmente efficaci nelle prime fasi della malattia.
La corretta identificazione della malattia è fondamentale per accedere alle cure in tempi rapidi e migliorare così la prognosi dei pazienti. Per tale ragione i ricercatori si sono concentrati sui fattori più facilmente assimilati al fraintendimento diagnostico e hanno osservato che i principali comprendono l'insorgenza in età avanzata (oltre i 55 anni), l'assenza di familiarità per la malattia, il sesso maschile e l'assenza di sintomi specificamente associati al comparto cardiaco.
La diagnosi di amiloidosi ATTR richiede l'analisi del DNA ma in alcuni casi si effettua anche una biopsia tissutale in grado di rilevare la presenza di depositi di amiloide. Ciononostante, dai risultati dello studio è emerso che la biopsia non è stata in grado di evidenziare i depositi in svariati casi, tanto che nel 40% dei casi la mancanza degli accumuli di amiloide ha portato i medici a rigettare l'ipotesi di malattia. Questo mette sotto la lente d'ingrandimento la sensibilità diagnostica della biopsia. Inoltre, la perdita di sensibilità e la progressiva demielinizzazione dei nervi associata ad un aumento delle proteine nel liquido cerebrospinale sembrano le principali cause dell'errore diagnostico con cui si scambia l'amiloidosi ATTR con la CIDP. I depositi di amiloide a livello delle radici nervose potrebbero essere tra le cause di questo fenomeno, costituendo così per gli specialisti del sistema nervoso un'utile indicazione a porre il sospetto di malattia anche nei soggetti affetti da disturbi della sensibilità e da progressivo deficit motorio degli arti.
In conclusione, secondo gli scienziati il ritardo diagnostico legato ad una diagnosi sbagliata si potrebbe misurare in circa 4 anni, un intervallo che assomiglia ad una voragine temporale che inghiotte speranze e opportunità di guarigione. È, pertanto, essenziale rivolgersi a centri di studio specializzati nei quali l'esame clinico possa aiutare a sollevare il sospetto della malattia tempestivamente, conducendo così alla prova del test genetico che può confermare la malattia e dare rapidamente accesso alle cure.
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