I cibi proteici interferiscono infatti con l’efficacia del farmaco.
Ma fare attenzione all’alimentazione è fondamentale in tutto il periodo della malattia

Nella malattia di Parkinson una corretta alimentazione influisce positivamente sull’efficacia della terapia farmacologica e sullo stato di salute generale. La composizione ideale della dieta bilanciata dovrebbe essere la seguente: la maggior parte dell’energia (55-58 per cento) dovrebbe provenire dai carboidrati (cereali e loro derivati, patate), una quota del 25-30 per cento dai grassi e il 12-15 per cento dalle proteine. Non esiste in assoluto un cibo che “fa male” o uno che “fa bene”, bisogna quindi assaggiare sempre gli alimenti nuovi, e variare i modi di cottura e di preparazione dei piatti. Di questo argomento si è parlato molto nel corso della Giornata nazionale del Parkinson organizzata da Limpe e Dismov – Sin lo scorso 26 novembre. Nella fase più avanzata della malattia, poiché le proteine interferiscono con l’assorbimento intestinale della levodopa e con il suo passaggio attraverso la barriera emato-encefalica dal circolo ematico al cervello, può essere consigliato ridurre decisamente la quota proteica della colazione e del pranzo, spostando gli alimenti proteici alla cena, dato che un ridotto assorbimento di levodopa nelle ore notturne ha un minore impatto sulle necessità motorie del paziente.

Il mantenimento di un adeguato peso corporeo è un importante fattore di sopravvivenza specie nell’anziano e nella malattia avanzata il calo ponderale può rappresentare un problema. Affinché il peso corporeo rimanga stabile per lunghi periodi è necessario che vi sia un equilibrio tra l’energia consumata e le calorie introdotte, non solo in termini energetici, ma anche qualitativi. La difficoltà a deglutire e a masticare, la depressione, e soprattutto, le gravi discinesie sono la principale causa del calo ponderale. Esiste infatti una correlazione tra durata della malattia e perdita di peso. Essere in sottopeso  mette a rischio la sopravvivenza del paziente stesso e favorisce inevitabilmente la comparsa di altre malattie che possono compromettere il benessere del paziente. Eseguire regolarmente gli esami ematochimici e avere una valutazione medica specialistica dietologica può migliorare lo stato di salute del paziente e facilitare il neurologo nel trattamento sintomatico della malattia neurologica. Al contrario nelle forme iniziali o di malattia stabile e moderata l’obesità ed il sovrappeso - talora legati ad un incremento dell’appetito specie per i carboidrati provocato dai farmaci dopaminergici - rappresentano un problema per l’apparato osteo-muscolo-scheletrico, favorendo processi degenerativi artrosici e riducendo la propensione al movimento del paziente. Di fatto l’attività motoria regolare mantiene in forma il paziente e sembra capace di regolare peso ed appetito rallentando la progressione della malattia.

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