Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad importanti cambiamenti nel trattamento del mieloma multiplo. L'editoriale del New England Journal of Medicine, a firma di David Avigan e Jacalyn Rosenblatt, fa il punto della situazione, citando i due studi più recenti sulla malattia pubblicati nell’ultimo numero del giornale. "Questi due articoli – scrivono Avigan e Rosenblatt – migliorano considerevolmente la nostra comprensione della terapia per il mieloma e dei metodi per integrare al meglio i nuovi agenti per il trattamento della malattia". Ed entrambe le ricerche concordano nel ritenere preferibile la terapia continua.
Il primo studio è di un italiano, il Prof. Antonio Palumbo, Direttore del dipartimento di Ematologia dell’Università di Torino (qui la nostra intervista al professore). In uno studio di fase 3, pazienti sotto i 65 anni con nuova diagnosi di mieloma multiplo hanno ricevuto una terapia di induzione con lenalidomide e desametasone e sono stati poi assegnati in modo casuale a ricevere la terapia di consolidamento con due cicli di alte dosi di melfalan seguita da trapianto autologo di cellule staminali, oppure sei cicli di 28 giorni di dose standard melfalan-prednisone-lenalidomide (MPR). Lo studio ha dimostrato che i cicli tandem di melfalan ad alto dosaggio hanno determinato una maggiore sopravvivenza, sia libera da progressione che globale.
Il secondo studio (Benboubker et al.) esamina i risultati dopo il trattamento con melfalan, prednisone e talidomide (MPT), confrontato con lenalidomide e basse dosi di desametasone in pazienti non ammissibili al trapianto. Inoltre, gli autori valutano il ruolo di una terapia continua con lenalidomide-desametasone fino a progressione della malattia, rispetto ad un predeterminato numero di cicli di terapia con lenalidomide-desametasone (18 cicli) o MPT (12 cicli).
Lo studio ha mostrato che la terapia lenalidomide-desametasone è stata associata ad un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione e ad un modesto ma significativo miglioramento della sopravvivenza globale. Anche se la risposta è stata più elevata con regimi di lenalidomide-desametasone che con MPT, un miglioramento dei risultati è stato osservato solo con la terapia continua. Lo studio suggerisce che il trattamento fino a progressione della malattia è preferibile rispetto alla sospensione del trattamento dopo l’ottenimento di una risposta massimale.
“Alla luce di queste ricerche – concludono Avigan e Rosenblatt – la chemioterapia ad alte dosi con trapianto di cellule staminali rimane uno standard di cura associato a prolungamento della sopravvivenza libera da progressione e globale nei pazienti sotto i 65 anni. La terapia di mantenimento dopo il trapianto o dopo la terapia a dosi standard ha un chiaro effetto sulla durata della remissione, ma ci sono prove contrastanti per quanto riguarda il suo impatto sui risultati a lungo termine. Infine, nei pazienti non ammissibili al trapianto, nuovi agenti con una tossicità accettabile forniscono la possibilità di effettuare una terapia continua, che può offrire qualche vantaggio rispetto ad un percorso di trattamento predefinito.”
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