Dott. Gerardo Musuraca: “Ci sono delle sperimentazioni in corso, ma questo approccio terapeutico rimane ancora lontano per i linfomi T”
Sulla celebre rivista Nature è recentemente apparso un articolo, firmato da un gruppo di ricercatori dell’Università della California e del Parker Institute for Cancer Immunotherapy di San Francisco, nel quale si riportano i risultati di un esperimento volto a creare una ‘super terapia’ a base di cellule CAR-T per la lotta ai tumori. I ricercatori dichiarano di aver trovato un metodo potenzialmente in grado di conferire resistenza alle CAR-T, vale a dire i linfociti T potenziati ad oggi usati per combattere diverse forme tumorali: nello specifico, gli scienziati statunitensi hanno dotato questi linfociti di una mutazione genetica che – può sembrare paradossale – è tipica delle cellule di un tumore raro, il linfoma cutaneo a cellule T (CTCL). Ma che tipo di patologia è il CTCL? E le CAR-T potranno rivelarsi un approccio terapeutico efficace anche per questa forma di linfoma? Per rispondere a queste domande abbiamo intervistato il dott. Gerardo Musuraca, direttore della struttura di Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali Ematopoietiche dell’IRCCS Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori “Dino Amadori” di Meldola (FC).
LINFOMA CUTANEO A CELLULE T: UN TUMORE ‘MULTIFORME’
“I linfomi sono vasto un gruppo di disordini linfoproliferativi”, precisa il dott. Gerardo Musuraca. “Solitamente, in Occidente, la maggior parte di essi è composta da malattie a partenza dai linfociti B, ma fino al 15% dei casi ha origine da patologie dei linfociti T. A quest’ultima categoria appartengono, in particolare, i linfomi T periferici non altrimenti specificati, il linfoma anaplastico a grandi cellule, il linfoma angio-immunoblastico e, infine, i linfomi cutanei a cellule T (CTCL), rappresentati prevalentemente dalla micosi fungoide e della sindrome di Sezary”.
Per incidenza, la forma più rappresentativa del CTCL è la micosi fungoide, una patologia cronica, a progressione lenta, contraddistinta da lesioni pruriginose - placche o papule diffuse sulla pelle - che si desquamano e portano alla diagnosi differenziale con alcune forme di psoriasi o di lichen simplex. “Le cause di questa patologia non sono ben note”, prosegue Musuraca. “Vari studi hanno suggerito un’associazione con l’esposizione a radiazioni ionizzanti o sostanze chimiche, oppure con l’infezione da virus HTLV-1, molto più presente nei Paesi dell’emisfero orientale dove, peraltro, è più elevata l’incidenza dei linfomi T in generale”. La diagnosi definitiva si raggiunge attraverso una o più biopsie cutanee che consentono l’esame istologico dei frammenti prelevati.
“Diversamente dalla micosi fungoide, la sindrome di Sezary è una malattia aggressiva, che si presenta con eritrodermia e prurito, accompagnati da diffusa distruzione della superficie cutanea e da interessamento extra-cutaneo”, precisa Musuraca. “È una patologia dai tratti leucemici, con linfociti di aspetto ‘cerebriforme’: pertanto, la diagnosi passa anche attraverso l’esecuzione di esami come la tipizzazione linfocitaria e una biopsia del midollo osseo”.
GLI ATTUALI APPROCCI TERAPEUTICI
Nel linfoma cutaneo a cellule T, la prognosi dipende in larga parte dall’estensione della patologia sulla superficie corporea. “Nella maggior parte delle situazioni la micosi fungoide appare localizzata e la sopravvivenza dei pazienti si prolunga per molti anni”, puntualizza l’esperto. “Tuttavia, nelle fasi avanzate, la malattia si estende ad ampie aree del corpo; all’aumentare della superficie cutanea interessata, con l’interessamento dei linfonodi o la trasformazione in masse solide (fase tumorale), aumenta progressivamente lo stadio del tumore, con conseguente riduzione dell’attesa di sopravvivenza. Nei casi più gravi - come anche nella sindrome di Sezary - la sopravvivenza mediana può essere inferiore a 2 anni”.
I trattamenti, di conseguenza, variano a seconda dello stadio tumorale: nelle forme iniziali di micosi fungoide, in cui il danno cutaneo è inferiore al 10% della superficie corporea, si ricorre a trattamenti topici (creme o pomate) o all’elioterapia. Man mano che la patologia avanza - pur rimanendo solo confinata alla cute - si può optare per la terapia pUV-A (a base di psoraleni e UV-A). “Questo approccio può essere gestito dal dermatologo in regime ambulatoriale, somministrando gli psoraleni in combinazione con l’azione fotosensibilizzante dei raggi ultravioletti che, in tal modo, aumentano l’effetto distruttivo sulle cellule della malattia”, spiega Musuraca.
Invece, nella micosi fungoide con interessamento viscerale o di fronte a un coinvolgimento linfonodale con localizzazioni eritrodermiche diffuse di malattia (come nel caso della sindrome di Sezary) si pone la necessità di ricorrere alla chemioterapia. “In questo caso il paziente passa nelle mani dell’onco-ematologo, che affronta la patologia con trattamenti farmacologici quali polichemioterapie, metotrexato a basse dosi, gemcitabina e doxorubicina liposomiale, o farmaci biologici come i retinoidi (bexarotene)”, precisa l’esperto. “Oppure con anticorpi monoclonali come mogamulizumab o brentuximab vedotin, che hanno dato buoni risultati contro la malattia in fase avanzata”. Inoltre, si può fare ricorso ai trattamenti radianti come la Total Skin Electron Beam Irradiation, che però viene praticata solo in pochi centri ad elevata specializzazione. “Tuttavia, le risposte ai suddetti trattamenti hanno spesso una durata limitata, con la tendenza, da parte della malattia, alla recidiva”, riprende Musuraca. Pertanto, la ricerca scientifica si sta concentrando sull’effetto di nuovi farmaci, ad esempio gli inibitori dei checkpoint immunitari (pembrolizumab) o gli anticorpi bispecifici. “Nei pazienti più giovani e con malattia in fase precoce [l’età mediana di insorgenza del CTCL si aggira intorno ai 55 anni, N.d.R.] si può ricorrere a una terapia di induzione meno tossica, che impieghi interferone alfa-ricombinante o una blanda chemioterapia, utile a traghettare il paziente verso il trapianto allogenico, attualmente considerato l’unica vera possibilità di guarigione dalla malattia”.
CAR-T: UNA SOLUZIONE PER IL FUTURO?
Veniamo dunque alla possibilità di usare una terapia a base di CAR-T per contrastare il linfoma cutaneo a cellule T. “Sebbene al momento siano in corso alcune sperimentazioni sulle CAR-T contro i linfomi T, rimangono due grossi problemi da risolvere in questo campo”, precisa Musuraca. “Il primo è relativo alla raccolta di linfociti T che si possano utilizzare a scopo terapeutico per il paziente affetto da questo specifico tipo di tumore [se la patologia coinvolge i linfociti T, infatti, questi saranno di conseguenza malati, N.d.R.], mentre il secondo è relativo alla necessità di individuare bersagli affidabili da colpire”. Nel caso delle CAR-T attualmente in commercio, destinate a forme avanzate di leucemia, linfoma a grandi cellule B e mieloma multiplo, sono stati trovati target duraturi, affidabili e relativamente specifici, ma i linfomi T sono molto più eterogenei e non si è ancora trovato un obiettivo da colpire senza correre il rischio di ‘disintegrare’ tutto il sistema immunitario. “Le maggiori aspettative, sotto questo profilo, sono riservate alle CAR-T allogeniche, cioè prodotte a partire da un donatore universale, oppure alle CAR-NK, molto meno reattive”, conclude Musuraca.
“Nel frattempo accogliamo con interesse gli esiti della ricerca pubblicata su Nature, in cui i colleghi statunitensi, tra molti geni, hanno selezionato un gene di fusione (CARD11-PIK3R3) coinvolto nella via di segnalazione di PIK3, che conferisce maggiore sopravvivenza a vari tipi di linfoma. Le CAR-T progettate con questo tipo di gene hanno un notevole vantaggio in termini di resistenza, superando i problemi di esaurimento tipici di questa terapia avanzata. Ma bisognerà proseguire gli studi per essere sicuri che esse non si trasformino a loro volta in cellule tumorali: per adesso sembra che ciò non accada, ma siamo solo all’inizio di un filone di ricerca promettente che, speriamo, possa portare a nuovi efficaci trattamenti anche contro i linfomi T e i linfomi T cutanei”.
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