Adenocarcinoma e celiachia: intervista al prof. Vanoli

Prof. Alessandro Vanoli (Pavia): “La relazione con la celiachia emerge soprattutto nei pazienti con una diagnosi di carcinoma del piccolo intestino al di sotto dei 50 anni di età”

Esiste un sottile filo rosso capace di unire una malattia piuttosto diffusa, come la celiachia, e un raro tumore quale è l’adenocarcinoma del piccolo intestino? La risposta, ovviamente affermativa, è d’aiuto non solo ad aumentare la consapevolezza nei riguardi di un tumore la cui diagnosi arriva spesso con troppo ritardo, ma anche a migliorare il percorso diagnostico della celiachia che, se trascurata, può suscitare gravi conseguenze per l’organismo. A illustrare nel dettaglio la relazione tra queste malattie è Alessandro Vanoli, Professore Associato presso la Sezione di Anatomia Patologica diretta dal prof. Marco Paulli del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Pavia e della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia.

Il professor Vanoli è impegnato nella ricerca e nella diagnostica della patologia del tratto gastroenterico e dei tumori neuroendocrini e, insieme ad Antonio Di Sabatino, Professore Ordinario del Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Pavia e Direttore della Medicina Interna 1 del Policlinico San Matteo, coordina il Consorzio Italiano dei Carcinomi del Piccolo Intestino. In soli pochi anni di attività il Consorzio ha raccolto una casistica di quasi 200 casi grazie alla costruzione di un “network” che vede coinvolti numerosi ospedali e centri di riferimento Italiani ed esteri, in particolare statunitensi.

“E’ importante ricordare che quasi il 70% delle neoplasie del piccolo intestino sono costituite da tumori secondari, cioè metastasi di altri tumori, a indicare  quanto siano rari i tumori primitivi di questa parte dell’intestino”, precisa Vanoli. “Tra di essi, gli adenocarcinomi rappresentano - insieme ai tumori neuroendocrini (NET) - il tipo istologico più frequente; circa il 30-40% dei tumori maligni del piccolo intestino sono adenocarcinomi ma, sebbene siano forme ultra-rare, la loro incidenza in Europa e negli Stati Uniti risulta in costante aumento”.

L’ADENOCARCINOMA DEL PICCOLO INTESTINO

Con una lunghezza complessiva di circa sette metri, l’intestino è l’organo più lungo del corpo umano e si compone di due parti: l’intestino tenue e l’intestino crasso. L’intestino tenue comprende duodeno, digiuno e ileo e, nonostante costituisca quasi due terzi della lunghezza dell’intero tratto digerente, è solo raramente colpito da neoplasie maligne primitive (solo il 3% di tutte le neoplasie maligne gastrointestinali). “Il principale problema dell’adenocarcinoma del piccolo intestino è il ritardo con il quale viene diagnostico, ritardo che si traduce in uno stadio di malattia più avanzato rispetto a quanto si osserva invece nelle neoplasie del colon-retto”, prosegue Vanoli. “Le difficoltà diagnostiche sono legate da un lato alla sede anatomica tumorale, non facilmente indagabile nonostante le moderne tecniche di “imaging” ed endoscopiche, dall’altro all’assenza di programmi di screening specifici stante la relativa rarità di queste patologie; tutti questi fattori concorrono purtroppo a spiegare la prognosi, spesso molto severa dell’adenocarcinoma primitivo dell’intestino tenue”.

La sintomatologia d’esordio di questa patologia non è specifica: dolore addominale intermittente, sanguinamento occulto con possibile anemia ipocromica microcitica o eventuale occlusione intestinale sono, infatti, manifestazioni comuni anche al cancro del colon-retto e delle vie biliari. Inoltre, la gran parte dei tumori del piccolo intestino si localizza nella porzione prossimale del piccolo intestino (il duodeno). “Dal punto di vista eziologico, oltre ai fattori ambientali [abitudine al fumo o elevato consumo di carne rossa, N.d.R.] le principali condizioni predisponenti l’insorgenza di un adenocarcinoma del piccolo intestino comprendono diverse sindromi tumorali ereditarie, quali la malattia di Lynch e la poliposi adenomatosa familiare (FAP) o la sindrome di Peutz-Jeghers e alcune patologie intestinali immunomediate, quali la malattia celiaca o il morbo di Crohn”, puntualizza ancora Vanoli.

IL LEGAME CON LA CELIACHIA E IL MORBO DI CROHN

In una ricerca apparsa sulle pagine della rivista American Journal of Gastroenterology, proprio Vanoli e Di Sabatino hanno potuto documentare l’esistenza di una stretta relazione tra la malattia celiaca e l’adenocarcinoma del piccolo intestino ad insorgenza precoce (le cosiddette forme early onset riscontrate in individui nella fascia d’età al di sotto dei 50 anni). “In generale, questo tumore riconosce condizioni predisponenti in almeno il 20% dei casi, molto più frequentemente di quello del grosso intestino”, chiarisce l’esperto. “Un tratto distintivo che si fa ancora più marcato nelle forme a esordio precoce, per cui si consiglia di indagare una possibile malattia celiaca non diagnosticata, dando così modo al paziente di cominciare una dieta priva di glutine evitando l’insorgenza di possibili altre complicanze”. Può accadere infatti che, nel post-operatorio, esaminando la mucosa intestinale adiacente all’adenocarcinoma, l’anatomo-patologo sia in grado di riconoscere le caratteristiche istologiche della celiachia, allertando così il gastroenterologo il quale potrà quindi sottoporre il paziente a una serie di accertamenti specifici per la conferma della celiachia [anticorpi anti-transglutaminasi di classe IgA, dosaggio delle IgA e, in alcuni casi, degli anticorpi anti-endomisio di classe IgA, N.d.R.]. “Purtroppo al momento, vista la rarità di questo tumore, non è stato ancora possibile identificare il ‘subset’ clinico di soggetti celiaci a maggior rischio di sviluppare adenocarcinoma del piccolo intestino”, aggiunge Vanoli. “Tuttavia, un dato che emerge prepotentemente dalle casistiche analizzate è che l’età alla diagnosi di celiachia nei pazienti con adenocarcinoma del piccolo intestino è più elevata rispetto ai celiaci senza complicanze neoplastiche”. Ciò non significa affatto che tutte le persone con celiachia siano destinate a sviluppare un adenocarcinoma, ma solo che il rischio relativo di questa evenienza risulta fino a cinque volte più alto nei celiaci rispetto alla popolazione generale.

In un altro lavoro, pubblicato stavolta sulla rivista Histopathology, è stata descritta la relazione tra adenocarcinoma del piccolo intestino e morbo di Crohn, una malattia infiammatoria dell’intestino contraddistinta da una forte attivazione immunitaria. “Dall’esame dei campioni raccolti abbiamo osservato che il 20% dei pazienti con adenocarcinoma associato alla malattia di Crohn riportava una mutazione specifica (R132C) nel gene IDH1, la stessa frequentemente ritrovata anche in un altro tipo di tumore raro, il colangiocarcinoma”, osserva Vanoli. “Evidenze indicano che questa mutazione ha un ruolo patogenetico nella carcinogenesi dell’adenocarcinoma del piccolo intestino associato al Crohn”.

ADENOCARCINOMA E ALTERAZIONI MOLECOLARI

Nello studio su Histopathology è stato osservato come la mutazione di IDH1 sia già presente in una fase displastica, quindi precedente all’insorgenza dell’adenocarcinoma, confermando l’utilità di definire una “carta d’identità” molecolare del tumore per cercare di contrastarlo con tutte le risorse messe oggi a disposizione dalla medicina di precisione.

Oltre allo stadio TNM, negli ultimi anni è stata attribuita una significativa valenza prognostica ad alcune caratteristiche molecolari, soprattutto l’instabilità dei microsatelliti (MSI) derivante da difetto di riparazione del DNA (detto deficit del Mismatch Repair, MMR) presente in molti tumori. “L’associazione con l’MSI trova negli adenocarcinomi del piccolo intestino una delle sue espressioni più significative in quanto circa il 30% dei tumori in stadio localizzato e circa il 10% di quelli in stadio avanzato esprime questo fenotipo molecolare”, aggiunge Vanoli. “L’instabilità microsatellitare è importante per tre motivi: in primo luogo permette di individuare i casi da sottoporre a valutazione per la presenza di una possibile sindrome di Lynch. Inoltre, si tratta di un fattore prognostico favorevole nella malattia in stadio resecabile; nel corso dei lavori del Consorzio Italiano dei Carcinomi del Piccolo Intestino abbiamo dimostrato come l’MSI sia associata a prognosi favorevole negli adenocarcinomi del piccolo intestino negli stadi II e III. Infine, l’instabilità dei microsatelliti è il principale fattore predittivo di risposta all’immunoterapia nella malattia avanzata”. La valutazione del deficit del MMR/MSI, che prevede reazioni immunoistochimiche per le proteine del MMR (MLH1, MSH2, MSH6 e PMS2), da effettuarsi sul tessuto tumorale ed eventualmente seguite da approfondimenti molecolari, è consigliato a tutti i pazienti con nuova diagnosi di adenocarcinoma del piccolo intestino, così come in quelli del grosso intestino.

Ulteriori alterazioni molecolari tipiche dell’adenocarcinoma del piccolo intestino includono le mutazioni nei geni TP53, KRAS, APC e SMAD4 che favoriscono il processo di cancerogenesi. Sono state segnalate anche alterazioni del gene BRAF ma, a differenza dell’adenocarcinoma del grosso intestino in cui prevale la mutazione V600E di questo gene bersaglio di farmaci specifici, nell’adenocarcinoma dell’intestino tenue si tratta soprattutto di mutazioni non-V600E, con significato predittivo non ancora chiaro. Sulla stessa lunghezza d’onda si posizionano le alterazioni molecolari di HER2 (frequenti nel carcinoma della mammella e dello stomaco): sebbene siano state identificate con una certa frequenza (circa nel 10% dei casi) anche nell’adenocarcinoma del piccolo intestino, solo un quarto di esse sono amplificazioni geniche.

LA TERAPIA DELL’ADENOCARCINOMA DEL PICCOLO INTESTINO

La conoscenza delle alterazioni molecolari sottese agli adenocarcinomi del piccolo intestino crea i presupposti biologici per l’utilizzo di terapie mirate, ma la rarità del tumore in sé e il fatto che diverse mutazioni siano dimostrabili solo in un numero limitato di tumori rende complessa la progettazione e l’attuazione pratica di sperimentazioni cliniche specifiche. È una situazione da “rarità nella rarità”.

“La terapia d’elezione dell’adenocarcinoma del piccolo intestino rimane ad oggi quella chirurgica”, afferma lo specialista. “Alla chirurgia può far seguito una chemioterapia adiuvante ma i dati a sostegno di questa scelta nel caso del piccolo intestino sono limitati: le linee guida americane e francesi suggeriscono di ricorrervi preferibilmente negli stadi II non MSI ad alto rischio di recidiva e negli stadi III,”. Nel caso di una malattia non resecabile chirurgicamente è fondamentale valutare lo status MMR, predittivo di un’ottima risposta al trattamento immunoterapico, con farmaci come il pembrolizumab. “Altri marcatori molecolari che, se presenti, indicano un possibile beneficio di terapie mirate sono le fusioni dei geni RET e NTRK”, spiega Vanoli. Infine, recentemente sono state descritte piccole casistiche di pazienti con adenocarcinoma duodenale ed MSI sottoposti a immunoterapia neoadiuvante e poi ad intervento chirurgico di rimozione del tumore, in cui la risposta all’immunoterapia è stata estremamente positiva.

Tutto questo ci riporta all’importanza della ricerca di precise alterazioni molecolari, fondamentali per ottimizzare la terapia anche nelle forme di neoplasia ritenute come rare. A questo si deve associare un’opportuna sorveglianza clinica in caso di sindromi ereditarie o di tutte quelle patologie che sappiamo associate a un incremento del rischio di insorgenza di tumori. “Gli individui affetti da morbo di Crohn, come anche quelli con rettocolite ulcerosa, si sottopongono a varie colonscopie di controllo per il rischio di adenocarcinoma del colon-retto; mancano invece protocolli di sorveglianza specifici per il piccolo intestino”, conclude Vanoli. “Nei pazienti con celiachia che seguono una dieta priva di glutine con una buona risposta clinica e una negativizzazione della sierologia non vi sono invece indicazioni circa la necessità di una sorveglianza endoscopica: il segnale di allarme da tenere in considerazione è legato all’improvvisa ricomparsa dei sintomi, soprattutto diarrea e dolore addominale. In queste situazioni è opportuno che il paziente venga rapidamente sottoposto a una serie di approfondimenti clinico-strumentali per escludere eventuali complicanze neoplastiche, anche rare, associate alla malattia celiaca”.

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