Adenomi ipofisari: il punto con il prof. Andrea Giustina

Prof. Andrea Giustina (San Raffaele): “In numerosi casi la chirurgia non è l’unica opzione di trattamento”

C’è una certa qual ironia nel fatto che il controllo di alcune delle più importanti funzioni del corpo umano sia assegnato a una minuscola ghiandola, più piccola di un acino d’uva, posta all’ombra del cervello a cui è collegata da un sottile peduncolo. Stiamo parlando dell’ipofisi, una minuscola struttura penzolante all’interno della sella turcica che regola la produzione degli ormoni della tiroide e delle gonadi, nonché quelli che si occupano dell’allungamento delle ossa e della crescita del corpo e quelli implicati nell’allattamento o nel mantenimento della pressione arteriosa. Insomma, pur restando confinata sotto le spire e le circonvoluzioni del nostro encefalo, l’ipofisi è coinvolta alla regolazione di innumerevoli processi fisiologici che, se alterati, creano pesanti conseguenze sulla nostra qualità di vita.

MACRO- E MICRO-ADENOMI DELL’IPOFISI

Come tutti gli organi, l’ipofisi può essere bersaglio di patologie - soprattutto di natura infiammatoria, vascolare o compressiva - che ne alterano l’equilibrio e il funzionamento. In questi casi le cause del fenomeno patologico sono da ricercarsi al di fuori della ghiandola, tuttavia esistono situazioni in cui il problema è interno ed è connaturato all’ipofisi stessa: si tratta di forme tumorali note che prendono il nome di adenomi ipofisari.

Gli adenomi dell’ipofisi si distinguono in due gruppi: non secernenti e secernenti”, spiega Andrea Giustina, Professore Ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e Primario dell’Unità di Endocrinologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. “I primi danno segnale della loro presenza solamente quando crescono troppo e fuoriescono dalla sella turcica. In questo caso il loro diametro supera il centimetro di grandezza ed essi sono detti macroadenomi”. Questi tumori si manifestano attraverso la compressione delle strutture circostanti, in modo particolare il nervo ottico, provocando cefalee e restringimento del campo visivo con perdita della visione laterale. “La diagnosi in questi casi è tardiva”, prosegue Giustina. “Poiché essi sono individuabili solo quando raggiungono dimensioni tali da comprimere le strutture intorno ad essi e provocando l’insorgenza dei sintomi”. I macroadenomi non sono associati ad aumento del livello degli ormoni ipofisari, al contrario dei piccoli adenomi secernenti. “Questi altri tumori - detti microadenomi - vengono individuati quando sono di modeste dimensioni (al di sotto del centimetro) perché determinano una produzione patologica degli ormoni prodotti e regolati dall’ipofisi”, aggiunge Giustina, citando ad esempio i microadenomi ipofisari prolattino-secernenti, come quello descritto dal professor Paolo Pozzilli, dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, in uno studio di paleopatografia che individuava nella Venere di Botticelli un’illustre malata.

APPROCCI TERAPEUTICI DIVERSI E DUBBI INTERPRETATIVI

Analogamente a quanto accade nelle problematiche che limitano le funzioni dell’ipofisi, i test diagnostici di primo livello consistono nel dosaggio degli enzimi e degli ormoni (TSH, LH, FSH, ACTH, GH) regolati da questa ghiandola. Ma esistono anche test di secondo livello che prevedono la somministrazione di sostanze con effetti inibitori sulla secrezione degli ormoni ipofisari. “In tal modo, se si osserva una riduzione dei livelli di ormone significa che la situazione è fisiologica”, chiarisce Giustina. “Qualora, invece, i livelli di ormone rimangano costantemente elevati si può sospettare un problema di ipersecrezione”. A questo punto può essere consigliato eseguire una Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) per inquadrare meglio l’adenoma e ottenere una solida indicazione al trattamento.

Le tre principali opzioni sono la terapia farmacologica, quella chirurgica e quella radiante, combinate in maniera differente a seconda del tipo di adenoma”, precisa l’endocrinologo milanese. “Per esempio, nel caso degli adenomi prolattino-secernenti come quello attributo a Simonetta Vespucci - la donna ritratta da Botticelli - la terapia d’elezione prevede il ricorso a farmaci dopamino-agonisti. Nel caso, invece, degli adenomi non secernenti si fa ricorso all’approccio chirurgico, eventualmente accompagnato da radioterapia”. Si può intuire come ogni adenoma abbia un suo peculiare percorso terapeutico e che non tutti i tumori debbano essere rimossi chirurgicamente: da qui la necessità di avere una classificazione completa che dia informazioni prognostiche e terapeutiche su tutte le tipologie di adenoma ipofisario. In un articolo pubblicato sulla rivista The Lancet Diabetes & Endocrinology un gruppo internazionali di ricercatori ha proposto un nuovo sistema di classificazione capace di integrare informazioni cliniche, genetiche, biochimiche, radiologiche, patologiche e molecolari relative a tutti gli adenomi dell’ipofisi anteriore: si tratta di un metodo che permetterebbe di valutare in maniera più approfondita la gravità della malattia e, di conseguenza, di impostare il miglior percorso terapeutico.

NON TRASCURARE IL PROBLEMA

Dal punto di vista della frequenza, gli adenomi che si associano alla secrezione di prolattina rappresentano circa la metà di tutti i tumori dell’ipofisi. “Di solito nella donna essi vengono individuati allo stadio di microadenomi dal momento che si accompagnano a sintomi, quali la scomparsa del ciclo mestruale e la perdita di liquido da capezzolo (galattorrea), che invitano immediatamente a contattare il ginecologo”, precisa Giustina. “Nell’uomo, invece, la perdita della funzione sessuale e l’aumento di dimensione della ghiandola mammaria (ginecomastia) raramente portano il paziente dal medico con celerità. Quindi il tumore viene spesso diagnosticato in fase di macroadenoma”.

Gli adenomi che determinano, invece, una iper-secrezione di ormone della crescita (GH) rappresentano il 20% del totale dei tumori ipofisari. “Qualora insorgano in età pediatrica provocano gigantismo, invece in età adulta conducono all’acromegalia [la malattia di cui soffriva il pugile Primo Carnera e di cui si ipotizza fosse affetto anche il pittore Caravaggio, N.d.R.] , che causa accrescimento abnorme delle mani e dei piedi e una modificazione dei tratti del viso”, spiega Giustina. “La diagnosi dovrebbe essere rapida ma, purtroppo, i cambiamenti si manifestano con lentezza e il malato tende ad abituarsi alla modificazione della propria immagine che attribuisce al fenomeno dell’invecchiamento”. Per questo, persino i famigliari e il medico di medicina generale faticano a registrare i cambiamenti connessi all’acromegalia la quale ha un notevole impatto sulla sopravvivenza dal momento che comporta alterazioni cardiovascolari e metaboliche (soprattutto ipertrofia ventricolare, scompenso cardiaco, ipertrofia delle vie aeree superiori e diabete). “Una diagnosi precoce permetterebbe di scongiurare complicanze e intervenire quando il tumore è di dimensioni che permettano una sua completa rimozione chirurgica”, afferma Giustina. “Invece, il ritardo diagnostico per questa malattia arriva anche a 10 anni. Perciò, dobbiamo instaurare un dialogo non solo con endocrinologi e medici di medicina generale ma anche con cardiologi, pneumologi, neuro-chirurghi, neuro-radiologi, anatomo-patologi, radioterapisti e otorinolaringoiatri nell’opera di sensibilizzazione nei confronti dell’acromegalia”. Per tale ragione sono stati definiti i criteri per i centri di eccellenza PTCOE (Pituitary Tumours Centers Of Excellence), all’interno dei quali si applicano correttamente i percorsi diagnostico-terapeutico assistenziali (PDTA) che, in un’ottica multidisciplinare, coinvolgono tutte le competenze necessarie per la presa in carico del paziente con adenoma, allo scopo di garantire le cure più efficace e adatte.

RARER THAN RARE: LA MALATTIA DI CUSHING

Tolti gli adenomi che secernono prolattina e quelli che secernono ormone della crescita rimane un 20% di forme non secernenti e, infine, una piccola fetta (circa il 10%) costituita da forme ancora più rare: la maggior parte dei casi rientranti in quest’ultimo gruppo è dato dalla sindrome di Cushing, in cui si ha un’eccessiva produzione di cortisolo, causata da un’altrettanta alta produzione di ACTH provocata dalla presenza dell’adenoma. “La diagnosi di malattia di Cushing è fortunatamente spesso rapida dal momento che il paziente va incontro a ipertensione, diabete e aumento della massa grassa concentrata nella zona del tronco”, conclude Giustina. “La presenza di smagliature rosse (le cosiddette strie rubre) sull’addome e sulle cosce è un segnale inequivocabile della malattia che richiede generalmente un approccio chirurgico, anche se in alcuni casi in cui l’adenoma sia troppo piccolo e non risulta visibile durante la risonanza pre-operatoria”. Ben più rari della malattia di Cushing sono gli adenomi TSH-secernenti, che sono causa di ipertiroidismo secondario, e le forme che secernono gonadotropine, che sono clinicamente silenti e vengono assimilate clinicamente agli adenomi ipofisari non secernenti.

Oltre che vasto quello degli adenomi dell’ipofisi è un panorama molto eterogeneo entro cui ci si può inoltrare solo con un sistema di navigazione fornito dalla robusta conoscenza del problema e delle sue manifestazioni.

 

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