Cordoma, dottoresse Salom e MagnaghiLa sperimentazione nasce dal lavoro di ricerca condotto nei laboratori italiani del Nerviano Medical Sciences e dell'Istituto Nazionale dei Tumori

Dallo studio delle colture cellulari all’individuazione di un farmaco, che verrà presto valutato all’interno di uno studio clinico per il trattamento di un raro tumore maligno, le ricercatrici del Nerviano Medical Sciences (MI) e della Fondazione IRCSS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano hanno raggiunto e superato tutte le principali tappe di un sentiero lungo e sempre in salita, ma che potrebbe tramutarsi in un’autostrada sulla quale lanciarsi a tutta velocità, con destinazione ultima la cura del cordoma.

Pochi mesi fa, la notizia della stabilizzazione di una nuova linea cellulare di cordoma (Chor-IN-1) aveva prodotto un’ondata di entusiasmo all’interno dei laboratori dei due istituti del milanese, da anni impegnati nella ricerca contro questa rara e invalidante forma di tumore che origina dai residui embrionali della notocorda ed è caratterizzata da un decorso molto spesso doloroso per il paziente, il quale vede seriamente compromessa la sua mobilità e la sua qualità di vita. La diagnosi non è semplice e, vista la molteplicità di ambiti interessati dalla neoplasia, richiede un patologo esperto in questo tipo di malattia. Parallelamente, anche la terapia è complessa e necessita di un approccio multidisciplinare e fortemente individualizzato, a fronte, tra l’altro, di una presentazione clinica del tumore non sempre uniforme. Al momento attuale, non esistono farmaci specifici per il cordoma utilizzabili in caso di fallimento della chirurgia e/o della radioterapia. Pertanto, il lavoro condotto dalle ricercatrici del Nerviano Medical Sciences, in collaborazione con gli studiosi della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano, contribuisce a infondere speranza nei pazienti.

“Il nostro progetto si è articolato su diverse linee di ricerca”, spiega in esclusiva alla redazione dell’Osservatorio Malattie Rare la dott.ssa Paola Magnaghi, Project Leader Biologico del progetto Cordoma e Responsabile del Laboratorio di Biochimica presso il Nerviano Medical Sciences. “Da un lato abbiamo investito nello sviluppo di linee cellulari nuove con lo studio e l’approfondimento di quelle stabilizzate, quali Chor-IN-1. Dall’altro lato, usando quest'ultima linea, e altre rese disponibili grazie alla collaborazione con Chordoma Foundation, che sostiene la ricerca clinica e preclinica sui cordomi, abbiamo assemblato un pannello di tutte quelle sfruttabili per capire quali farmaci fossero in grado di bloccare la proliferazione del tumore”. L’obiettivo principe di questo lavoro è stato, infatti, quello di individuare molecole capaci di arrestare la crescita di queste linee cellulari, per poi studiarne l’applicazione nel contesto di studi clinici successivi.

Con questa filosofia, le ricercatrici lombarde hanno combattuto una battaglia su fronti diversi, ampliando la fase di screening iniziale per poi focalizzarsi su ciò che è stato appreso sui cordomi. “Ci sono dei recettori di membrana altamente espressi in vari tipi di cordomi e contro i quali esistono già dei farmaci in sviluppo clinico avanzato o già approvati”, prosegue Magnaghi. “I recettori più importanti, su cui abbiamo concentrato la nostra attenzione, sono stati EGFR, PDGFR-beta e c-MET: mentre i farmaci inibitori di PDGFR-beta e c-MET non sono stati trovati particolarmente attivi nelle linee di cordoma; i farmaci inibitori di EGFR, come afatinib, erlotinib, lapatinib e gefitinib, già approvati per uso clinico nella terapia dei tumori del polmone, hanno invece mostrato attività su alcune linee di cordoma”. Il percorso di sviluppo di un nuovo farmaco, specie se rivolto a una malattia rara, è estremamente complesso e può richiedere anni: perciò, l’attenzione delle studiose si è rivolta a farmaci che sono già stati protagonisti di un iter clinico collaudato e hanno prodotto risultati soddisfacenti, tentando così di accorciare i tempi. “Questo è stato uno studio nuovo e diverso dagli altri, che ha voluto verificare se tra tanti farmaci della stessa famiglia vi fosse un agente più attivo di altri che potesse, quindi, diventare oggetto di uno studio specifico”, conferma la dott.ssa Silvia Stacchiotti, medico oncologo della Struttura Complessa Tumori Mesenchimali dell’Adulto e Tumori Rari presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

Con questa finalità, la dott.ssa Barbara Salom, Project Leader Chimico del progetto Cordoma e Responsabile del Laboratorio di Chemical Diversity presso il Nerviano Medical Sciences, ha selezionato una serie di inibitori di EGFR, mentre la dott.ssa Magnaghi ne ha studiato l’attività sulle linee cellulari di cordoma. In tal modo, è stato possibile notare che afatinib era, in assoluto, l’inibitore più potente sulle linee di cordoma, ed era anche l’unico capace di produrre un’attività estesa su quasi tutte le linee. “Gli altri inibitori erano attivi su una o due linee ma non su tutte”, specifica la dott.ssa Magnaghi. “Abbiamo perciò deciso di andare a vedere cosa potesse sostenere a livello molecolare tale attività e ci siamo resi conto che afatinib era l’unico a indurre una degradazione di EGFR. Non solo: era anche in grado di far degradare il biomarcatore universalmente noto per i cordomi, la proteina brachyury, un marcatore che è molto importante per lo sviluppo embrionale e che sostiene la crescita tumorale dei cordomi. Quando abbiamo capito che il farmaco aveva un meccanismo d’azione capace di interferire così tanto con la patogenesi del cordoma, ne abbiamo studiato l’attività non solo sulle linee cellulari ma anche su modelli in vivo. Abbiamo visto che il trattamento con afatinib era in grado di diminuire tantissimo, se non addirittura bloccare completamente, la crescita di cordomi umani in modelli animali. È stato a questo punto che abbiamo pensato che avesse senso sperimentarne l’attività anche sull’uomo”.

Tuttavia, realizzare uno studio clinico su un tumore così raro non è un processo facile. Ecco perché è fondamentale sapere quale sia, tra tutti, il farmaco più promettente prima di valutarne l’efficacia in una sperimentazione in cui sono coinvolti direttamente i pazienti. “Le informazioni biologiche sul cordoma e sull’attività di afatinib, unite alla disponibilità della casa produttrice di concederlo per un test su un limitato gruppo di pazienti, hanno spinto tre gruppi di ricerca europei a collaborare alla pianificazione di uno studio esplorativo di Fase II che valuti l’attività del farmaco in termini di sopravvivenza libera da progressione di malattia in un gruppo di 50 pazienti”, precisa la dott.ssa Stacchiotti. Il gruppo di lavoro italiano, che da più di 15 anni si occupa dello studio dei cordomi ed è riconosciuto come uno dei più attivi e importanti sul territorio nazionale e internazionale (grazie anche alla stesura e pubblicazione di due testi di riferimento apparsi sulle riviste Lancet Oncology e Annals of Oncology), affiancherà i ricercatori del Leiden University Medical Center e dello University College London Hospital nella conduzione di questo trial clinico, che ha già ricevuto l’approvazione del Comitato Etico olandese e che, entro l’autunno, dovrebbe essere approvato anche in Italia. L’arruolamento dei primi partecipanti è previsto per la fine dell’anno.

“L’approvazione dello studio si presenta in un momento storico importante, nel quale è in corso un colloquio con gli enti regolatori, in particolare con l’Agenzia Europea per i Medicinali, per cercare di semplificare i meccanismi di approvazione di farmaci orfani per condizioni rare come il cordoma”, conclude la dott.ssa Stacchiotti. “Abbiamo lavorato per identificare i possibili e rilevanti target di questo tumore raro, per poter trovare, di conseguenza, delle molecole che potessero avere un’implicazione terapeutica a breve termine. Ora, speriamo che tutto ciò possa tradursi in un farmaco efficace, che sia presto disponibile per i pazienti”.

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