Il dott. Fabrizio Contarino (Vittorio Veneto) spiega in cosa consista la malattia e quali siano i metodi per diagnosticarla e le terapie attualmente disponibili
Riduce la fertilità della donna e provoca intensi attacchi di dolore. È l’endometriosi, una patologia cronica di natura benigna che affligge quasi il 10% delle donne in età riproduttiva. In tutto il mondo si contano circa 150 milioni di pazienti e, solo nel nostro Paese, le stime parlando di 3 milioni di casi. Nonostante più del 90% delle donne con endometriosi si trovi nella fascia di età compresa tra i 30 e i 40 anni, la malattia può manifestarsi anche in età adolescenziale.
L’endometriosi è caratterizzata dalla formazione di tessuto endometriale al di fuori della cavità uterina, anche a livello di organi contigui all’utero, quali tube, vescica e retto fino alle superfici peritoneali e al peritoneo profondo. Questi nuclei di tessuto endometriale, da un punto di vista fisiologico e funzionale, si comportano come l’endometrio vero e proprio, rispondendo alle medesime stimolazioni ormonali. Pertanto, all’approssimarsi del ciclo mestruale si osserva un sanguinamento delle lesioni, con l'innesco di processi infiammatori che conducono a una vera e propria fibrosi dei tessuti. Da ciò si capisce come la cifra distintiva della malattia sia il dolore.
“L’endometriosi ha un impatto notevole sulla qualità della vita, sia per l’aspetto sintomatologico, dove predomina il dolore pelvico, sia per le potenziali conseguenze negative in relazione alla fertilità”, spiega il dott. Fabrizio Contarino, specialista in Ginecologia e Ostetricia presso l’Ospedale Civile di Vittorio Veneto (TV). “La malattia si presenta con quadri clinici variabili, dalla presenza di lesioni cistiche di piccole dimensioni fino a lesioni molto più estese, in grado di danneggiare l’anatomia e la funzionalità di organi limitrofi, quando non decisamente lontani”. Esistono diverse ipotesi per spiegare l'origine dell’endometriosi: la più nota afferma che le cellule endometriali, durante il ciclo mestruale, risalgano lungo la cavità uterina e si diffondano nella cavità addominale attraverso le tube di Falloppio, aderendo alla superficie dei tessuti sino ad infiltrarli. Più di recente, sono stati pubblicati studi che chiamano in causa il ruolo del sistema immunitario.
L’eziologia dell’endometriosi, quindi, richiede ancora studi e approfondimenti, ma la formulazione di una corretta diagnosi si ottiene attraverso un protocollo ben stabilito che deve essere avviato in maniera tempestiva. “In genere, si giunge alla diagnosi nell’ambito di una visita ginecologica richiesta sulla base della sintomatologia algica e nella quale si valutano la morfologia, la mobilità dell’utero e delle ovaie nonché la consistenza dei legamenti che tengono in sospensione l’utero e la vagina”, spiega Contarino. “La tecnica di prima scelta per la diagnosi di endometriosi è l’ecografia trans-vaginale, che permette di indagare meticolosamente anche le condizioni dell’utero. L’immagine ecografica è caratteristica, con cisti e noduli tipici della patologia, anche a livello dell’ovaio”.
Una volta identificate le lesioni, si procede con la somministrazione della terapia. “Il trattamento di prima scelta è rappresentato dai contraccettivi orali e dai progestinici”, prosegue l’esperto. “In un’ampia casistica è stato osservato che i contraccettivi orali associati a farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sono in grado di produrre risultati significativi. Se questa opzione terapeutica non dovesse avere effetto, si passa alla terapia di seconda linea, basata su GnRH-agonisti e danazolo, che però hanno effetti collaterali non trascurabili e vanno selezionati in casi specifici. Farmaci come il danazolo, ad esempio, implicano la soppressione dell’ovulazione e hanno un effetto androgenizzante: per questo motivo, sono sconsigliati nelle giovani donne”.
La terapia farmacologica viene impiegata non solamente per il controllo del dolore ma anche in caso di riduzione del rischio di recidiva dopo intervento chirurgico, oppure per il controllo delle lesioni prima o in alternativa all’intervento chirurgico stesso. “Quando il dolore persiste, nonostante la somministrazione di presidi farmaceutici, è lecito sospettare un interessamento peritoneale e, oltre all’ecografia pelvica, si esegue una risonanza magnetica, che rappresenta il gold-standard per la diagnosi di endometriosi peritoneale. Attraverso l'esame si valuta presenza e diffusione di noduli nel peritoneo superficiale e profondo e poi, eventualmente, ci si orienta sull’intervento chirurgico”, chiarisce Contarino. “In tal caso, la persistenza di dolori cronici in zona pelvica, durante il ciclo mestruale, durante il rapporto sessuale o durante la defecazione, implica un ricorso alla laparoscopia con cui si vanno a rimuovere i focolai di lesione”.
“Anche nelle donne desiderose di prole ma infertili – prosegue l'esperto – si procede con un intervento chirurgico in laparoscopia che elimina i focolai di endometriosi”. Il trattamento chirurgico dell’endometriosi ovarica e peritoneale superficiale sembra incrementare il tasso di gravidanza spontanea. Con un intervento in laparoscopia si eradicano tutti i focolai e la possibilità di una gravidanza spontanea torna a salire, risolvendo il problema della fertilità. “Diverso, invece, è il caso dell’endometriosi profonda, quando l’infiltrazione va in profondità nel peritoneo fino al setto retto-vaginale, dove c’è un sovvertimento delle strutture anatomiche con produzione di aderenze”, aggiunge Contarino. “In questo caso, il grado di fibrosi dei tessuti è elevato e lo spazio tra retto e vagina si oblitera, incidendo sulle terminazioni nervose e provocando forte dolore nelle pazienti. In tal caso, non disponiamo di dati certi sul tasso di gravidanza”. Ovviamente, il trattamento chirurgico deve essere eseguito da personale esperto. Non si esclude il ricorso a equipe multidisciplinari che, oltre al ginecologo, includano le figure del chirurgo e dell’urologo, proprio perché l’infiltrazione può raggiungere le vie urinarie, l’uretere e anche l’intestino.
“L’interruzione dei trattamenti è associata ad un aumento del rischio di recidiva”, sottolinea Contarino. “Studi clinici condotti su donne sottoposte a intervento per endometriosi ovarica riportano, in un periodo di 24 mesi dopo l'intervento chirurgico, un tasso di recidiva del 29% nelle pazienti non trattate con contraccettivo orale, del 14,7% nelle pazienti trattate con contraccettivo orale in regime ciclico e dell'8,2% di quelle trattate con contraccettivo orale in regime continuo. Gli studi riguardano il trattamento medico dell'endometriosi con progestinici da soli o contraccettivi orali: questi farmaci dimostrano efficacia solo per la durata del loro uso nel controllo del dolore e dei sintomi, che spesso, quindi, si ripresentano dopo la sospensione della terapia”.
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