Naldini (TIGET): “l’applicazione di CRISPR alla linea germinale è il fronte più controverso. Le recenti Raccomandazioni non hanno chiuso le porte, ma è ancora presto e va prima avviato un meccanismo di consenso tra decisori politici e sociali”

L'evoluzione di sempre nuovi processi di sviluppo scientifici e tecnologici mette ogni giorno a disposizione di medici e ricercatori strumenti innovativi con cui combattere malattie fino a qualche tempo fa ritenute incurabili. In particolare, le tecniche di manipolazione del DNA hanno tagliato negli ultimi anni traguardi inauditi grazie a filoni di ricerca come quello sull'ingegnerizzazione delle cellule del sistema immunitario che, così riconvertite, si sono rivelate in grado di attaccare le cellule tumorali garantendo insperati successi sul piano terapeutico.

La recente pubblicazione del rapporto “Human genome editing: Science, Ethics and Governance (clicca qui per consultare il documento), da parte della National Academy of Sciences (NAS) e della National Academy of Medicine (NAM) degli USA rappresenta un esempio di come sia imperativo, per tutti coloro che conducono ricerche in questo settore, affidarsi a principi etici rigorosi e inappuntabili.

Contrariamente a quanto sta avvenendo nell'universo dei social media, dove non sembrano esistere regole ferme e neppure un codice etico che difenda i diritti dei fruitori, la Comunità Scientifica ha avvertito l'urgenza di stabilire le condizioni alle quali consentire l'utilizzo di tecniche di genome editing considerandone, a maggior ragione, l'applicazione alle cellule germinali.

Della commissione internazionale che ha stilato le linee guida riassunte nel documento fa parte anche il prof. Luigi Naldini, direttore dell'Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica, che spiega come con il termine "genome editing” si voglia descrivere un approccio che esiste da parecchi anni e che sfrutta l’azione di enzimi artificiali appositamente disegnati per tagliare la sequenza di DNA che presenti una mutazione collegata ad una patologia e indurre un processo di riparazione capace di inattivare il gene o, in casi più ambiziosi, di correggerlo, con l'inserimento di una nuova sequenza.

La recente scoperta del sistema CRISPR/Cas9 è stata fondamentale per poter procedere in questa direzione: si tratta di una serie di brevi sequenze di DNA associate ad un insieme di geni presenti nei batteri che codificano per enzimi in grado di tagliare il DNA. Grazie a questo sistema di riparazione evoluto dai batteri per proteggersi dalle aggressioni virali, oggi gli scienziati sono in grado di intervenire sui frammenti di DNA danneggiati da specifiche mutazioni e ripararli, ripristinando la sintesi di proteine e correggendo, di fatto, l'errore alla sorgente. "Nel campo della ricerca questo ha portato ad un'esplosione di applicazioni” – spiega il prof. Naldini – “Il primo passaggio rimane la costruzione della molecola artificiale che taglia la sequenza e successivamente bisogna progettare il resto della strategia terapeutica. È la parte più complessa, intorno alla quale c'è grande aspettativa ma ci sono anche molti ostacoli da superare prima di arrivare all’applicazione clinica”.

L'ingegneria genetica sta sfornando risultati di straordinaria importanza nella ricerca di nuove vie terapeutiche contro patologie rare come la distrofia di Duchenne, l'emofilia e alcune malattie da accumulo lisosomiale. "Per le malattie rare, con una base genetica individuata, la possibilità di correggere il gene ha un potenziale terapeutico straordinario.” – continua Naldini – “La difficoltà è farlo in modo sicuro ed efficiente in termini di quantità di cellule da modificare. Ad oggi la sperimentazione sull'uomo si realizza ex vivo, cioè sulle cellule prelevate da un individuo per essere corrette e reinfuse, come le cellule staminali ematopoietiche o i linfociti. L'altro campo d’azione è quello in vivo e prevede l'inserimento di enzimi che operano come forbici molecolari, direttamente nel muscolo. In questo caso esistono per ora solo modelli sperimentali e, prima di arrivare alla sperimentazione sull’uomo, sarà necessario superare problematiche relative alla sicurezza di queste strategie e all'efficienza con cui si raggiungono i tessuti, come i muscoli nel caso della distrofia muscolare.”

Le sperimentazioni in corso per l’utilizzo dell’editing in terapia genica, in vivo o ex vivo, ruotano intorno alle cellule somatiche dell'individuo, senza toccare la linea germinale, ma uno dei perni della discussione affrontata dagli esperti è stato proprio la possibilità di modificare le cellule germinali con l'intenzione di curare alcune malattie rare la cui patogenesi risulti correlata a specifiche alterazioni genetiche. “Abbiamo i meccanismi per controllare che queste applicazioni si sviluppino in modo serio e seguendo tutti i principi di sicurezza e di buona pratica clinica” – spiega ancora Naldini – “ma il fronte più controverso è proprio quello che riguarda la linea germinale. In questo caso non si cura la malattia ma si previene il passaggio della malattia stessa alla progenie. Questo ha una sua valenza etica ma pone anche grosse problematiche perché significa intervenire sulle generazioni a venire e aprire la strada a potenziali usi meno giustificati. Su questo fronte la Raccomandazione non chiude le porte, dal momento che riconosce il potenziale valore futuro di queste strategie ma si ammette che ad oggi è ancora presto per realizzarle. C'è da lavorare sul fronte della ricerca e il report suggerisce un cammino responsabile verso queste future applicazioni, individuando le situazioni stringenti nelle quali un domani si potrebbe intervenire. Naturalmente, questa Raccomandazione si applica solo ai Paesi in cui sia possibile condurre una sperimentazione sugli embrioni, escludendo, di fatto, Nazioni come l'Italia, in cui ciò oggi è vietato per legge.”

Il lato oscuro di questa promettente frontiera è rimbalzato all'attenzione delle cronache moderne anche rispetto alla possibilità di impiegare queste stesse tecniche per potenziare le prestazioni fisiche e aumentare illecitamente la resistenza degli atleti, in una sorta di doping genetico. “Nel caso del doping genetico si parla di cellule somatiche e non germinali” – prosegue Naldini – “La raccomandazione afferma chiaramente che ad oggi l'unico intervento consentito di gene editing si applica all’ambito medico per correggere una disabilità grave o curare una malattia. E’, pertanto, necessario passare attraverso una precisa valutazione rischio-beneficio che bloccherà qualsiasi applicazione al di fuori dell’ambito medico”. Pur collocati agli estremi opposti dello spettro, la terapia genica e il doping genetico affondano le radici nello stesso razionale e, per tale ragione, la Comunità Scientifica si è prontamente adoperata perché i benefici della prima non possano essere confusi con i trucchi del secondo. Infatti, le implicazioni di questa rivoluzionaria opzione correttiva sono molto vaste e perciò il livello di attenzione richiesto sul piano etico e sociale è estremamente elevato. "Il valore del Report è quello di illustrare un procedimento che ha coinvolto esperienze internazionali e punti di vista anche religiosi e culturali diversi.” – conclude Naldini – “C'è un invito a continuare questo dibattito coinvolgendo i vari componenti della società e riconoscendo che i prossimi passi devono essere effettuati solo dopo che sia stato avviato un meccanismo di costruzione di consenso anche tra i vari decisori politici e sociali”.

Un recente esempio delle potenzialità di questa metodologia viene proprio dalla distrofia di Duchenne, una delle più conosciute distrofie dell'infanzia, originante da mutazioni o delezioni del gene che codifica per la distrofina, la quale, a livello muscolare risulta praticamente assente. Ciò si traduce in un progressivo deterioramento del sistema muscolare che nel tempo può  coinvolgere anche l'apparato respiratorio e cardiocircolatorio, riducendo sia la qualità che l'aspettativa di vita dei piccoli pazienti. Il mondo della ricerca sta guardando con notevole fervore alle possibilità di cura della distrofia di Duchenne, tanto che ad oggi nel mondo sono in corso più di 60 studi su questa malattia focalizzati su percorsi di ricerca paralleli, dalle terapie molecolari all'impiego delle cellule staminali fino all'uso di terapie convenzionali a base di corticosteroidi. In un articolo di recente apparso sulla rivista Nature Communications un gruppo di ricercatori dell'Università di Washington ha sfruttato le potenzialità del sistema CRISPR/Cas9 in un modello murino appositamente realizzato per trattare pazienti affetti da distrofia di Duchenne.

Sfruttando l'azione di vettori virali adeno-associati i ricercatori sono stati in grado di mettere a punto una terapia che consenta la produzione di una limitata quantità di distrofina al fine di ripristinare le funzionalità muscolari nei pazienti e ritardare il decorso della malattia ma ciò che gli scienziati americani hanno approfondito nel loro studio è la possibilità di usare il sistema CRISPR/Cas9 per aumentare le quantità di distrofina disponibili per il muscolo in un ventaglio di pazienti specificamente accomunati da una precisa mutazione. Inoltre, l'approccio in vivo testato sul modello murino consente di utilizzare cellule staminali pluripotenti indotte e di riprogrammarle in modo tale da poterle trapiantare nei topi distrofici e fornire così in via permanente la quantità di distrofina necessaria al muscolo. I risultati ottenuti indicano che il sistema di editing genomico sfruttato dai ricercatori ha prodotto un effetto significativo sui muscoli dei topi e, inoltre, l'adeguata produzione di distrofina è stata correlata ad un'ottimizzata allocazione nel sarcolemma di enzimi come l'ossido nitrico sintasi (NOS) che svolgono un ruolo decisivo nella rigenerazione della forza muscolare.

Per altre informazioni su CRISPR e distrofia muscolare di Duchenne, leggi l'articolo "CRISPR: Parent Project raccoglie fondi per studi sulla distrofia di Duchenne".

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