Presentato in anteprima all’88° Congresso SIGO a Napoli, l'innovativo Genetic-test è una  nuova metodica NON invasiva per l'identificazione precoce delle più frequenti alterazioni cromosomiche fetali. Il test è in grado di identificare anche la presenza di alcune patologie rare

Roma  - Le anomalie dei cromosomi sono le alterazioni genetiche più gravi per il loro impatto sulla qualità di vita del nascituro. Il nuovo esame prenatale, il “Genetic-test”, permette l’identificazione, sia delle più comuni tra le anomalie cromosomiche, sia di alcune microdelezioni (la perdita di microscopici frammenti di un cromosoma) responsabili dell’insorgenza di gravi sindromi, quali ad esempio la Sindrome di Turner e la Sindrome di Jacobs.


Il Genetic-test è stato presentato nel corso del Congresso della Società Italiana di Ginecologie e Ostetricia (SIGO) che si è svolto a Napoli dal 6 al 9 ottobre. In questo importante evento scientifico è stato ribadito quanto già emerso nell’ambito del XVI Congresso della Società Italia di Genetica Umana, tenutosi a Roma dal 26 al 29 settembre 2013: la possibilità di analizzare il DNA fetale libero, presente su una provetta di sangue materno già a dieci settimane di gravidanza, rappresenta la più grande novità nel campo della diagnostica prenatale degli ultimi anni.

“La nuova tecnologia di sequenziamento (Massively Parallel Sequencing) ha reso estremamente affidabile il test e ha caratterizzato un’intera sessione del recente congresso SIGU, a testimonianza del grande valore ad essa attribuito proprio dai genetisti” spiega il Prof. Giuseppe Novelli, Ordinario di Genetica all’Università di Tor Vergata “Grandissimo rilievo è stato dato alla possibilità di raccogliere informazioni numerose e dettagliate sull’assetto cromosomico, come ad esempio le microdelezioni, partendo da un semplice prelievo di sangue. Sino ad ora tali informazioni erano ottenibili solo attraverso procedimenti di analisi che non possono prescindere da un prelievo di tessuti e dalla relativa invasività. Con questo test non solo è possibile identificare il numero corretto dei cromosomi, ma anche di anomalie strutturali dei cromosomi e che interessano più geni. L’esame infatti consente di analizzare da due a 10 milioni di basi, identificando quelle che chiamiamo ‘patologie genomiche’. Particolare attenzione va dedicata al fatto che qualsiasi risultato positivo viene prima verificato con indagini ulteriori e poi gestito all’interno di un accurato counseling genetico e di un team multisciplinare che lavora al fianco dei futuri genitori”.

I test di screening prenatale sino ad oggi disponibili, come ad esempio il test combinato del primo trimestre, hanno una precisione elevata, ma molto distante dal quasi 100% dimostrato dalla validazione clinica del Genetic-test e si caratterizzano per un elevato numero di falsi positivi (circa il 5%) a fronte di un ben più basso 0,03% del G-test.
Il Genetic-test, sviluppato dalla BGI-Health e fornito dai laboratori Bioscience Institute, è certificato CE e si basa su un’analisi diretta del materiale cromosomico per valutare alcune microdelezioni, le trisomie 21, 18 e 13 e le aneuploidie dei cromosomi sessuali. Dal sangue periferico materno, quindi, è possibile ottenere importanti informazioni sul feto, senza compromettere in alcun modo la gestazione (nessun rischio abortivo connesso alla metodica).

Questo test genomico ci offre la possibilità di aggiungere al ‘test combinato’ (translucenza nucale) uno strumento non invasivo per indagare il rischio di avere un feto sano e escludere la presenza delle più frequenti anomalie cromosomiche” spiega il Prof. Enrico Ferrazzi, Professore di Ostetricia e Ginecologia Università di Milano. “In questo modo sempre e solamente attraverso un prelievo di sangue possiamo indagare con altissima accuratezza la presenza alterazione nel numero dei cromosomi del feto. A questo si aggiunge la possibilità, già sperimentata, di conoscere alcune anomalie legate ad errori di piccole parti dei singoli cromosomi, le cosiddette ‘microdelezioni’. Quando impiegare il test e con quali indicazioni sarà sicuramente oggetto di discussione da parte delle autorità sanitarie e dei clinici in quanto si tratta di uno strumento nuovo impiegabile secondo criteri che possono variare a seconda dei rischi e dell’età della madre. Andrà valutata sia la sostenibilità economica che i vantaggi medici ed etici che questa metodica potrà introdurre. Pensiamo ad esempio che con il vecchissimo criterio di eseguire amniocentesi o prelievo dei villi coriali nelle donne in gravidanza con più di 35 anni, si determina di fatto la morte di un feto sano ogni feto affetto dalla trisomia 21 identificato dalla analisi invasiva endouterina. In Italia dove si eseguono ancora 150mila diagnostiche invasive ogni anno questo significa che di fatto muoiono 700 feti sani. Il G-Test può rappresentare non solo un possibile risparmio economico ma anche un risparmio non quantificabile in termini di feti sani persi con l’amniocentesi”.

Qual è il periodo migliore per eseguire lo screening? “Il periodo migliore è tra la 10ma e l’11ma settimana nello stesso periodo del test di translucenza nucale e lo studio delle arterie uterine, in modo da dare al clinico tutte le informazioni relative alla esclusione dei rischi cromosomici che oggi possono essere identificati già nel primo trimestre” spiega Ferrazzi che precisa anche che “non ci sono rischi fisici né per la madre né per il bambino, ma è importante trasferire il concetto che i risultati sono dati delicati che devono essere discussi con il ginecologo o il genetista in caso di necessità e che quindi devono essere gestiti dal punto di vista dell’informazione”.

Il razionale scientifico si basa sulla scoperta della presenza di DNA di origine fetale libero (non associato a cellule) nel sangue materno (Lo et al., Lancet 1997), a partire dalla quarta settimana di gestazione; la sua concentrazione aumenta con l’avanzare dell’età gestazionale, tanto da poter essere utilizzato come biomarker per la rilevazione di eventuali trisomie.

 

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