Per i malati di Parkinson problemi di aderenza alla terapia e solitudine i problemi più sentiti

Sulla salute l’Italia procede a macchia di leopardo anche quando si tratta di medicina di genere, cioè di tenere in considerazione le diverse esigenze di uomini e donne. Le differenziazioni a livello locale emergono da un rapporto presentato mercoledì scorso e frutto di un’indagine conoscitiva su tre malattie degenerative condotta dalla commissione Sanità del Senato. Il documento, frutto di un anno di audizioni, ha esaminato il tumore della mammella, le malattie reumatiche croniche e la sindrome Hiv: “Ci sono degli aspetti comuni a tutte e tre le patologie - ha spiegato Antonio Tomassini, presidente della Commissione - come il poco rispetto per gli aspetti femminili nella prevenzione, e la necessità di creare reti uguali per tutti sul territorio. Ci sono troppe differenze fra le Regioni”. Oltre alle evidenze comuni ogni singola malattia ha mostrato delle criticità nelle terapie: per il tumore al seno il rapporto ha sottolineato che lo screening raggiunge buone percentuali al nord, ma si ferma sotto il 30 per cento al sud, ed è necessario che sorgano delle 'breast units' come richiesto dall'Ue. Sulle malattie reumatiche, spesso trascurate nonostante pesino per 3,2 miliardi di euro sul Servizio Sanitario Nazionale, è emersa la necessità di inserirle nel Piano Sanitario Nazionale per far loro ottenere più visibilità. Per l'Hiv, una patologia che sempre più riguarda le donne, è emersa la necessità di effettuare screening che facciano emergere quel 25 per cento di pazienti ignari di essere sieropositivi.

Le prime fase dello sviluppo socio economico di un paese sono il periodo a maggior rischio

‘Geografie della salute’ significa anche iscrivere lo studio del corpo nell’ambiente in cui vive e in cui si sviluppa, a partire dal grembo materno. Significa dunque porre una maggiore attenzione ad elementi che sono ulteriori al meccanismo genetico dell’ereditarietà mendeliana, soprattutto in una fase storia in cui ad aumentare e pesare sempre di più sono le malattie non trasmissibili e non di origine infettiva. Di questo ha parlato a Spoletoscienza, la rassegna organizzata da Fondazione Sigma Tau, il prof. Mark Hanson, che ha fondato e dirige l’Istituto di Scienze dello sviluppo dell’Università di Southampton, dirige anche il Dipartimento sviluppo e origini della salute e della malattia della facoltà di Medicina della stessa università e insegna Scienze cardiovascolari alla British Heart Foundation. Le sue ricerche riguardano diversi aspetti dello sviluppo e della salute, che vanno da quanto l’ambiente può influire sul rischio di malattie croniche – come le malattie cardiache, il diabete e l’obesità – durante il nostro sviluppo (prima e dopo la nascita), agli studi sulle popolazioni finalizzati all’individuazione precoce dei rischi per poter intervenire tempestivamente a livello di prevenzione.

Sono i risultati di uno studio condotto all’Oncologia Pediatrica del Policlinico Gemelli

Prima della chirurgia, del trattamento chemioterapico e della radioterapia, nei bambini affetti da tumore cerebrale è fondamentale un esame neuropsicologico al fine di individuare precocemente deficit cognitivi e pianificare tempestivamente interventi riabilitativi personalizzati. È quanto emerge da uno studio condotto dalle dottoresse Laura Iuvone e Laura Peruzzi, dell’Unità Operativa di Oncologia Pediatrica del Policlinico universitario “Agostino Gemelli” di Roma, coordinato dal direttore dell’UO prof. Riccardo Riccardi, che ha preso in esame 83 bambini colpiti da tumore cerebrale con un’età media di circa 8 anni. La ricerca è stata recentemente pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Neuro-Oncology.

Il farmaco è a somministrazione orale, in Inghilterra è l’opzione di prima linea

Ogni anno circa 8200 persone devono affrontare una diagnosi di carcinoma renale, neoplasia che rappresenta un 2-3 per cento di tutti i casi di tumore, con una tendenza però all’aumento. Per loro è appena arrivata anche in Italia una terapia innovativa, si tratta del Pazopanib di Glaxo (GSK), un antiangiogenico orale che da pochissimo inserito nel nel Registro farmaci oncologici di AIFA. I primi riscontri degli studi di fase due e tre vennero presentati due anni fa all’ASCO di Chicago, suscitando l’interesse della comunità oncologica mondiale. Ora il nuovo farmaco ha concluso l’iter di approvazione con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ed è disponibile anche in Italia.

Si chiama Bentysta ed è un inibitore del Blys, stimolatore dei linfociti B.

Questo potrà essere ricordato dalle tante persone che soffrono di Lupus Eritematoso Sistemico (LES) come un giorno molto importante: per la prima volta dopo 50 anni la FDA ha autorizzato un nuovo farmaco per questa malattia. Si chiama  Benlysta ed è stato messo a punto dall’azienda biotecnologia Human Genome Science (HGS) insieme alla casa farmaceutica GlaxoSmithKline (Gsk). Si tratta di un anticorpo monoclonale umano, il primo di una nuova classe di farmaci inibitori BLyS-specifici che riconoscono e inibiscono l'attività biologica dello stimolatore dei linfociti B o BLyS, che è stata scoperta da HGS nel 1996.

Partendo dallo studio di rare forme ereditarie di resistenza all’insulina, ricercatori calabresi hanno trovato un’anomalia genetica presente nel 10% delle persone con diabete di tipo 2

Dalla ricerca sulle malattie rare nuova luce su una delle malattie metaboliche più diffuse nel mondo, il diabete mellito di tipo 2: il gruppo di ricerca dell’Università di Catanzaro “Magna Græcia” coordinato da Antonio Brunetti ha scoperto che in un diabetico su dieci è presente una sorta di “firma genetica” che aumenta di sedici volte il rischio di sviluppare questa malattia, che nel mondo colpisce 250 milioni di persone. Pubblicato sulle pagine del Journal of American Medical Association (JAMA), lo studio è stato finanziato anche da Telethon e ha coinvolto quasi 9000 pazienti diabetici, di cui 4000 italiani.

Il Lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia autoimmune cronica (che stando alle cifre globali non può essere considerata rara) che, rispetto ad altre, ha una particolarità: può attaccare qualsiasi parte del corpo, dalla pelle ai reni fino al cuore,i polmoni e il cervello. Questo perché gli anticorpi che dovrebbero difendete il corpo da agenti dannosi ‘impazziscono’ e vanno ad attaccare gli organi. Attualmente non c’è una cura per questa malattia ma, per via farmacologia, si cerca di tenere sotto controllo gli episodi acuti. Grazie ad una ricerca americana pubblicata a dicembre su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), condotta dagli scenziati del Dana-Farber Cancer Institute di Cambridge, Massachusetts in collaborazione con il Jackson Laboratory, un ente di ricerca biomedica senza scopo di lucro con sede nel Maine -  ora potrebbe essere possibili indirizzarsi con maggiore decisione verso una terapia in grado non di controllare i sintomi ma di eliminare l’errore di base che provoca l’attacco autoimmune.

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