La prospettiva nasce da uno studio condotto su una malattia ultra-rara, la sindrome di Wolfram
La ricerca sulle malattie rare ha dimostrato, e continua a dimostrare, di poter condurre alla scoperta di meccanismi biologici e terapie applicabili anche a patologie più comuni. A confermare questo aspetto sono stati, di recente, gli scienziati della Washington University School of Medicine (Stati Uniti), in uno studio che riguarda il diabete mellito di tipo I, uno dei sintomi principali della sindrome di Wolfram (WFS), malattia ultra-rara, attualmente senza cura, di cui sono stati descritti circa 300 casi in tutto il mondo. I ricercatori hanno utilizzato la tecnica CRISPR-Cas9 per correggere una variante patogena del gene WFS1, collegato alla sindrome, in cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), le quali, una volta differenziate in cellule beta pancreatiche, hanno migliorato la secrezione di insulina in risposta ai livelli di glucosio.
Oltre al diabete mellito di tipo I, i sintomi caratterizzanti la sindrome di Wolfram sono atrofia ottica, diabete insipido, deficit uditivo e segni neurologici: una patologia piuttosto complessa, e talmente rara da essere difficile da identificare e gestire, pur essendo disponibile un metodo per la diagnosi prenatale. I geni coinvolti sono WFS1, che codifica per la proteina Wolframina e causa la maggior parte dei casi di WFS, e ZCD2. Un difetto nella produzione di Wolframina provoca uno stato di infiammazione in grado di determinare la morte programmata (apoptosi) delle cellule di diversi organi (cuore, cervello, placenta, polmoni e pancreas), con gravi conseguenze per l’organismo.
Obiettivo dello studio americano, pubblicato su Science Translational Medicine, è stato quello di correggere, attraverso CRISPR-Cas9, la variante patogena del gene WFS1, per favorire una migliore secrezione di insulina stimolata dal glucosio e invertire l’andamento del diabete. Alcune cellule prelevate dal derma di tre pazienti affetti da WFS sono state riprogrammate e trasformate in iPSC, recuperando così la loro pluripotenza, cioè la capacità di creare tutti i tipi di cellule. Successivamente, le iPSC sono state geneticamente corrette e fatte differenziare - grazie a una tecnica innovativa in sei stadi - in cellule pancreatiche beta adulte, che sono responsabili della produzione di insulina, l’ormone che regola i livelli di zucchero nel sangue. Infine, queste cellule sono state trapiantate in topi a cui era stato indotto farmacologicamente il diabete, per valutarne sicurezza ed efficacia.
Questo studio, seppur in fase preclinica, potrebbe non solo aprire uno spiraglio sulla possibilità di effettuare trapianti di cellule beta autologhe nei pazienti con sindrome di Wolfram, ma anche ampliare gli orizzonti per il trattamento del comune diabete mellito, non correlato alla WFS. In questo modo, sarebbe possibile eliminare i rischi a lungo termine della terapia a base di insulina e risolvere il problema del limitato numero di donatori per il trapianto di isole pancreatiche, un’opzione invasiva e possibile soltanto per poche persone con diabete. Per questi pazienti, in futuro, le cellule beta pancreatiche differenziate da iPSC potrebbero rappresentare una valida alternativa terapeutica, anche se la loro sperimentazione, per ora, è solamente agli albori.
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