La Onlus, che fa parte dell’Alleanza Malattie Rare, si occupa di ricerca scientifica e supporto pratico alle famiglie
La sindrome di Sanfilippo o mucopolisaccaridosi di tipo III è una malattia rara neuro-metabolica ereditaria causata dall’accumulo di sostanze tossiche nel sistema nervoso e caratterizzata da ritardo motorio e cognitivo, neurodegenerazione, disturbi del comportamento. Esistono quattro diversi tipi di sindrome di Sanfilippo, ciascuno dei quali denominato in base al tipo di enzima mancante o difettoso. La forma più grave è quella di Tipo A. Trattandosi di una malattia ereditaria autosomica recessiva, perché il bambino ne sia affetto, entrambi i genitori devono essere portatori. Esiste una probabilità su due (50%) che genitori portatori abbiano bimbi sani anch’essi portatori, una probabilità su quattro che genitori portatori abbiano bimbi sani non portatori (25%) e un’altra probabilità su quattro che da genitori portatori nascano bambini malati (25%).
“In Italia si contano almeno 50 casi ma non è sempre facile avere la giusta diagnosi: ci sono ancora molte diagnosi errate di autismo o semplicemente di disturbi del comportamento.” – afferma Katia Moletta, presidente dell’Associazione di volontariato Sanfilippo Fighters – Di solito i bambini presentano i primi sintomi solo tra i 2 ed i 6 anni, con un’evoluzione graduale. Si comincia generalmente con un cambiamento del comportamento del bambino, che diventa iperattivo e manifesta difficoltà di apprendimento. Spesso i bambini dormono poco di notte e, lentamente, perdono il linguaggio e la capacità di comprensione. Intorno ai 10 anni il coinvolgimento neurologico diviene più evidente con perdita delle capacità motorie e problemi di comunicazione – precisa la presidente –. Crescendo i bambini passano dalla fase di iperattività a quella di ipoattività, con la perdita delle funzioni motorie e di deglutizione, a cui si aggiungono continui aggravamenti con crisi epilettiche, clonie, distonie, complicazioni cardiache e respiratorie, che li porteranno alla morte non più tardi della seconda decade di vita”.
La storia
L’Associazione Sanfilippo Fighters è nata ufficialmente il 24 luglio del 2020, dopo una lunga riflessione da parte di un piccolo gruppo di genitori agguerriti. La prima idea di creare un’associazione risale al lontano 2017, quando Katia, Alessandra e Grace, tre mamme di bambini con Sindrome di Sanfilippo, iniziano a rendersi conto che c’è bisogno di un impegno attivo da parte delle famiglie. I loro figli avevano preso parte alla sperimentazione clinica di un candidato farmaco per la terapia di sostituzione enzimatica, che purtroppo non ha dimostrato l’efficacia sperata. Di fatto una grande delusione per le famiglie, dalla quale però è nata l’idea di costruire insieme il futuro dei loro figli.
Il progetto di creare un’associazione resta in cantiere ancora per qualche anno, fino a che, durante le lunghe settimane del primo lockdown, una decina di genitori cominciano a incontrarsi ripetutamente sulla piattaforma Zoom, scambiandosi sogni ed aspirazioni.
“Era un periodo duro per tutti, ma noi ci sentivamo davvero in difficoltà”, racconta la presidente Katia Moletta, 45 anni, di Cittadella in provincia Padova. Per Francesco, il secondo dei tre figli di Katia, che oggi ha quasi nove anni ed è stato diagnosticato a un anno e mezzo di età, non c’erano più le terapie né le abitudini quotidiane. “Aveva invertito il giorno con la notte, io e mio marito facevamo i turni per dormire qualche ora, ma eravamo stremati – racconta –. È stato allora che abbiamo capito che dovevamo fare qualcosa per noi stessi, per aiutarci da soli”.
Così le famiglie cominciano a confrontarsi online. L’idea è quella di provare a sfruttare le opportunità offerte dal programma Seed Grant di Telethon, che promuove la ricerca sulle malattie rare, mettendo a disposizione di una selezione di organizzazioni, che hanno raccolto fondi per la ricerca, l’esperienza e le competenze dei propri ricercatori. “La raccolta fondi è andata oltre le migliori aspettative – ricorda Katia – e da qui abbiamo deciso di partire davvero come associazione, dedicando le nostre energie non solo alla raccolta fondi per la realizzazione di progetti destinati a finanziare la ricerca, ma anche ad altre attività per aiutare le famiglie. Da quando a Francesco è stata diagnosticata la Sanfilippo, ho capito che bisognava allargare lo sguardo oltre la malattia e per alcuni anni ho fatto parte dell’Associazione Italiana Mucopolisaccaridosi e Malattie Affini-AIMPS, di cui la Mucopolisaccaridosi di tipo III fa parte, ma avvertivo la necessità di un cambio di marcia.”
Oggi dell’Associazione Sanfilippo Fighters fanno parte circa 35 famiglie di altrettanti bambini, sparsi un po’ in tutta la Penisola. “Siamo tutti volontari, genitori, fratelli, zii, amici che non vogliono arrendersi all’idea che non ci sia nessuna cura per la malattia: perché c’è sempre speranza, ed è a questa speranza che vogliamo appellarci”.
Oggi l’Associazione Sanfilippo Fighers fa parte dell’Alleanza malattie rare e della Rete delle associazioni amiche di Telethon.
Gli obiettivi e le attività dell'Associazione
Tra gli obiettivi dell’Associazione Sanfilippo Fighters non vi è solo l’opera di raccolta fondi per la ricerca, ma anche quello di creare una rete tra le famiglie affinché possano scambiarsi suggerimenti e darsi supporto reciproco, con una particolare attenzione verso i genitori dei bambini che hanno appena ricevuto la diagnosi perché, come si legge sul sito dell’organizzazione, “il momento in cui lo si scopre è come una pugnalata a cui è difficile reagire, che fa sentire soli e impotenti”.
“Siamo nati per farci del bene, perché convivere con una malattia senza cura fa ammalare tutta la famiglia – sintetizza Katia – fare attività è un modo per stare meglio noi e far stare meglio il paziente. L’Associazione è un atto d’amore che vuole restituire più qualità di vita e dignità a tutti. Il focus principale è la ricerca, ma la qualità di vita è altrettanto importante”.
I bisogni delle famiglie
“Le famiglie che fanno parte dell’Associazione sono dislocate su tutto il territorio nazionale, ma ogni Regione ha un approccio differente rispetto alla patologia e quindi è difficile capire quali sono le agevolazioni e i servizi di cui è possibile usufruire – spiega la presidente di Sanfilippo Fighters –. Questa situazione spesso è aggravata dalla scarsa conoscenza che il personale degli uffici territoriali e gli stessi membri delle commissioni Asl hanno della Sindrome di Sanfilippo, cosa che rende più complesso ottenere l’indennità di accompagnamento”. Il problema, nell’esperienza dell’Associazione, risiede soprattutto nella difficoltà di vedersi riconosciuta subito la situazione di gravità prevista dall’articolo 3 comma 3 della legge 104 del 1992, che consente di accedere a vari tipi di benefici, tra cui il diritto all’assegno di accompagnamento, i permessi dal lavoro retribuiti per assistenza ai familiari e alcune agevolazioni fiscali.
“Se la malattia viene diagnosticata quando i nostri bambini sono ancora piccoli – prosegue – e quindi quando stanno ancora abbastanza bene, viene riconosciuta loro l’indennità di frequenza ma non il più consistente assegno di accompagnamento. A volte siamo costretti a sottoporci alla visita di revisione benché la malattia non preveda alcuna possibilità di miglioramento. Dalla Sindrome di Sanfilppo non si guarisce, non c’è bisogno di revisione. Insomma – scandisce – ci sarebbe necessità di una maggiore omogeneità di azione rispetto ai nostri diritti”. Inoltre troppo spesso le diagnosi sono tardive: “Nei due anni di vita dell’associazione – prosegue – abbiamo accolto almeno una decina di nuovi bimbi diagnosticati in età superiore ai 6 anni, quando ormai i danni da accumulo sono irreversibili. Purtroppo la malattia è davvero troppo poco conosciuta dai medici pediatri del territorio nazionale”.
Progetti, dalla ricerca al sostegno alle famiglie
Sono diversi i progetti scientifici finanziati dall’Associazione Sanfilippo Fighters portati avanti grazie alla Fondazione Telethon e al Tigem di Pozzuoli. Tra i progetti in corso uno è relativo allo studio dei meccanismi alla base della degenerazione del tessuto nervoso tipica della patologia, mentre un altro è incentrato sulla valutazione di un nuovo approccio terapeutico basato sullo stimolo farmacologico dell’autofagia, il processo che permette alle cellule di smaltire le sostanze di scarto. Ma vi è anche il Progetto di sostegno alle famiglie Sanfilippo, nato nell’ottobre del 2020 per offrire supporto psicologico nella gestione degli stress emotivi legati alla malattia e training parentali per la gestione di condotte sintomatologiche. “È un progetto in cui credo molto e che ho voluto fortemente – racconta Katia –. Abbiamo davvero bisogno di tirare fuori le nostre paure e di farlo in condivisione, il solo parlarne è terapeutico”. A questo scopo sono previsti tre appuntamenti mensili online, uno dedicato alle mamme al mattino, uno serale rivolto a entrambi i genitori e uno di sabato mattina per le mamme che hanno perso i propri bambini. “Sono momenti che fanno bene – è il commento della presidente –. A volte col confronto riesci ad esorcizzare l’angoscia che ti porti dentro”. Tra i progetti per il futuro, la stesura di un libro che raccolga il sentire delle famiglie, “perché abbiamo bisogno di raccontarci, di dire: guarda che esisto”.
Comunicazione e sensibilizzazione
Far conoscere a più persone possibile la Sindrome di Sanfilippo viene considerato essenziale dagli esponenti dell’Associazione. “Noi combattiamo per la patologia dei nostri figli, ma occorre maggiore conoscenza delle malattie rare in generale, è necessaria una sensibilizzazione a 360 gradi”, afferma Katia. “Talvolta veniamo contattati da genitori di figli con altre patologie rare, che ci chiedono consiglio ed esprimono il desiderio di ispirarsi alla nostra battaglia. Siamo tutti sulla stessa barca, il lavoro della singola associazione fa bene a tutte le altre”. Sarà scontato, ma vale la pena di ripeterlo: anche per le malattie rare l’unione fa la forza.
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